Il progresso tecnologico ha inevitabilmente sottratto alle nuove generazioni attuali tutti quei mestieri legati al primato della mano, il “faber”, ossia la trasformazione che l’uomo imprime alle cose che lo circondano grazie alla sua abilità prensile (da qui la locuzione latina “homo faber ipsius fortunae” che, per l’appunto, sottolinea questa capacità che ha l’essere umano di creare, costruire e trasformare l’ambiente in cui vive). I “mestieri legati alla mano dell’uomo”, di cui la nostra Italia è particolarmente ricca e feconda, fanno riferimento ad antiche tecniche di lavorazione artigianale che, in un passato oramai estinto e da museo, hanno contribuito a rendere grande il nostro Paese e, oltre a consolidare le nostre tradizioni e consuetudini, hanno dato vita al vero “Made in Italy”, simbolo per eccellenza di quell’italianità nel mondo che si è trasformata in valore. Recuperare gli “antichi mestieri” vuol dire essenzialmente tre cose: studiare le nostre origini, dare vita a politiche di protezione e riqualificamento di produzioni, ahimè, quasi estinte e, al contempo, avvicinare le generazioni attuali e future a professioni con elevata qualità.

Questo breve excursus è servito per introdurre un mestiere quasi del tutto scomparso: ci riferiamo all’antica professione del calzolaio. Oggi, soprattutto nei piccoli paesi di provincia, qualche calzolaio resiste ancora. Del resto, in una società capitalista come la nostra, assorbita interamente dalla logica mostruosa della produzione industriale, come può un semplice calzolaio competere con le nuove logiche dei mercati finanziari? Anticamente, il calzolaio, che lavorava nella sua bottega da mattina presto fino all’imbrunire, soprattutto in piccole comunità rurali, svolgeva due funzioni assai importanti: quella di ideare, su richiesta dei clienti, delle scarpe fatte quasi interamente sul riutilizzo di vecchie tomaie, oppure semplicemente di rattoppare parti lacerate con una o più toppe.

L’associazione di promozione delle Arti “Tota Pulchra”, qualche giorno addietro, ha fatto visita alla bottega artigianale “Peron & Peron”, calzolai di stampo rinascimentale che sorge proprio dinanzi alla maestosa Basilica di San Francesco nel cuore pulsante della splendida città di Bologna. La bottega è gestita da Bruno e Simone, rispettivamente padre e figlio che, con grande passione e competenza, non senza enormi sacrifici, rappresentano uno degli ultimi baluardi, se non l’ultimo, di una grande tradizione bolognese relegata quasi nel dimenticatoio. Bruno Peron, autentico Maestro d’Arte e persona umile ed eccezionale, presso una antica bottega della città, apprende i primi rudimenti dell’  arte calzaturiera. Dopo qualche anno, grazie alla sua tenacia e voglia di imparare, scopre di avere tra le mani un talento forse innato. Ed è da questa consapevolezza che prende vita la sua storia di grande calzolaio. Nel 1990 il figlio Simone comincia anch’egli ad addentrarsi nei meandri di questa nobile professione. C’è un aneddoto che merita di essere portato all’attenzione dei lettori: il padre, dopo aver trasmesso il suo sapere sull’interpretazione della misura del piede, per la formazione di suo figlio, scelse la figura di Pietro Draghetti, autentico Maestro che, nel giro di quasi cinque anni, trasmise le sue conoscenze al ragazzo. Come mai Bruno Peron non seguì in via del tutto esclusiva la formazione del figlio? Egli voleva che Simone non fosse considerato semplicemente il figlio del capo ma, ed è qui la straordinarietà di quest’uomo, aveva il vivo desiderio di fargli apprendere l’arte del calzolaio attraverso sacrifici che comportavano rinunce, abnegazione di sé, studio e completa dedizione. Per realizzare questo intento era necessaria una figura di mentore esterna, fuori dal legame di sangue. La scelta, come abbiamo visto, cadde su Pietro Draghetti “Lesina d’Oro nel 1947”. Simone nel 1995, dopo soli cinque anni di pratica, volle far conoscere il nome del padre in giro per il mondo. Pensò a “Pitti Immagine Uomo”, la più importante piattaforma a livello internazionale per le collezioni di abbigliamento e accessori uomo. Grazie all’autorizzazione del padre, la famiglia Peron ebbe un importante spazio espositivo nel settore “Affinità Elettive” dal 1995 al 2013. Ed è qui, a Firenze, che il nome “Peron & Peron” cominciò a risuonare con più forza nel circuito nazionale e internazionale. L’obiettivo dei Peron è quello di dare ai clienti un servizio di grande qualità rispettando l’ortopedia stessa dei loro piedi. I materiali usati per la fabbricazione delle scarpe vanno principalmente dalla pelle di vitello, coccodrillo, alligatore, struzzo e cordovan (pelle equina ricavata dal tessuto connettivo piatto fibroso sotto la pelle sulla culatta del cavallo). Il calzaturificio non usa nessun pellame che abbia a che fare con le mode attuali. La filosofia lavorativa dei Peron vuole che il cliente non faccia un semplice uso della calzatura, ma che, ognuno di essi, abbia il suo modello di scarpe ideale e speciale da portare per tutta la vita. Bruno e Simone Peron non sono stilisti, perché i veri stilisti sono i clienti: loro hanno solo il compito di trasformare in realtà i loro sogni realizzando qualcosa di mai visto prima. Ogni scarpa è un’autentica opera d’arte che dura tutta la vita e che gode di una garanzia illimitata. Il processo di realizzazione è complesso: ogni calzatura, che necessita alle 24 alle 60 ore di lavoro, prevede circa 200 fasi lavorative e, ognuna di queste, si conclude naturalmente con un’apposita asciugatura per non snaturare il pellame usato nella lavorazione. Da ricordare che i Peron, assieme al giapponese Kota Kishi, un altro maestro della calzatura riconosciuto a livello internazionale, hanno realizzato una scarpa con pellame a pezzo intero, applicato a un polacchino, basata su un esemplare del 1954 realizzato da un maestro inglese tuttora sconosciuto e conservata in un piccolo museo delle calzature di Tokyo.

 

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Gabriele Russo

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