Gli antenati dei moderni stabilimenti cinematografici erano i teatri di posa. Strutture in legno, ferro e vetro che assomigliavano a grossi hangar. Francesca Bertini, famosa attrice del muto, le definiva come delle grosse serre senza fiori. All’epoca le luci per ricreare le scene in studio non erano molto potenti e si faceva filtrare la luce attraverso i vetri della struttura. Vicino ai teatri  vi erano anche laboratori di sviluppo e stampa dei film, i camerini degli attori, grandi spazi campestri dove venivano girate le colossali scene di massa. Ricordiamo  importanti film storici come “Gli ultimi giorni di Pompei” o “Cabiria” di Pastrone. La Cines famosa casa di produzione di Roma negli anni 20 aveva gli stabilimenti in via Appia Nuova (Vicolo delle Tre Madonne), all’epoca immersa nella campagna. C’erano boschetti, torrenti, orti. Anton Giulio Bragaglia sperimentava film d’arte e il teatro dialettale siciliano. Il teatro di posa dell’epoca era una sorta di atelièr  dove il regista elaborava le scene-quadri.

Il saggio “I teatri di posa a Roma nei primi anni del 900” Lithos  Editrice 2014 di Piermarco Parracciani racconta la storia dei teatri di posa del cinema muto romano ripercorrendo in lungo e in largo la città di Roma. Una città nella quale ancora giravano le carrozze e la campagna emergeva in tutto il suo splendore. Un cinema pionieristico molto legato al teatro e alle sperimentazioni delle avanguardie. Le pellicole venivano ancora dipinte a mano (viraggio). Un saggio nel quale i progetti architettonici delle licenze edilizie dei teatri ci testimoniano una Roma sparita e un modo artigianale di fare i film che non esiste più. Le principali case di produzione cinematografica avevano i loro teatri di posa sparsi per la città. La via Appia Nuova era tutta un brulicare di teatri di posa appartenenti alla Cines (La Cinecittà dell’epoca) con i teatri più moderni ed efficienti. Poi vi era la Film d’arte Italiana in via Alessandro Torlonia succursale romana della Pathè Frères francese. Era specializzata nella produzione di film melodrammatici e comici. Tanti erano i pionieri che facevano muovere al cinema i suoi primi passi: artigiani, industriali, notai, attori, attrici che attraverso il nuovo mezzo volevano raggiungere fama e gloria. Negli anni 10-20 il fenomeno divistico iniziava ad essere molto diffuso.

Il saggio di Piermarco Parracciani è un insieme di testimonianze storiche che raccontano la vita pulsante di queste strutture che non sono arrivate fino a noi a causa della loro provvisorietà e precarietà. Legno ferro e vetro non erano materiali così resistenti e bastavano anche piccoli incendi per distruggerli. La ricerca storica fatta presso l’Archivio Storico Capitolino e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma hanno permesso di ricostruire gran parte della vita di queste strutture. La città la società degli anni 20 la possiamo conoscere attraverso la scrittura dei documenti d’archivio e i progetti dei teatri. Questi erano strutture ancora visibili, si potevano ancora toccare con mano a differenza degli studios di oggi spesso celati ai nostri occhi.

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