Quest'opera del Maestro Antonio Teruzzi è particolare in quanto è composta da 12 rappresentazioni scultoree di sé stesso. Un'opera quindi “suddivisa”, “scaglionata” ma che fa capo a Uno; a un unico uomo e a un unico capolavoro concettuale e materiale di Antonio Teruzzi. Ma perché dodici?
La scelta del numero non è per niente casuale, porta con sé un'attenta riflessione, un attento studio della tradizione e di differenti forme che gravitano intorno a questo numero “misterioso”. Dalla Filosofia in cui il 12 è presente negli Archetipi di Jung e nelle categorie o forme a priori dell'intelletto nella “Critica alla Ragion Pura” di Kant, alla simbologia in cui indica una gestione alla variante delle tre metafisiche speciali di Wolff suddivise in : il corpo, il mondo sia fisico e l'ambito spirituale.
Numero presente nel nostro calendario in quanto l'anno è composto da 12 mesi e ovviamente nel Cristianesimo nella figura degli Apostoli. Vi sono innumerevoli esempi in cui questo numero compare nelle nostre vite in differenti materie, ma per Antonio è fondamentale il concetto di Tutti.
Con quest'opera il Maestro capisce che deve mettersi in gioco, caricandosi sulle spalle una responsabilità individuale che ha senso di essere solo se si vive in una comunità in cui ognuno di noi, avendo il proprio ruolo, si sente utile.
Domandarsi e cercare fuori di sé la presenza di altri. L'uomo non è rigido, ma attento, incuriosito; il corpo è graffiato, “firma” stilistica di Antonio Teruzzi, accentuando la fatica dell'Uomo. Un Uomo che cerca delle risposte a delle domande e riconosce come condizione necessaria per andare oltre lo spogliarsi delle abitudini, delle mode, delle illusioni e del potere. Con lo sguardo fisso al cielo, sente la nostalgia dell'uomo vero, che dovrebbe incarnarsi nell'uomo nuovo. Si rivolge così al Padre di tutti fiducioso come un figlio consapevole di non essere solo.
“Quello che è veramente nuovo, è quello che si ripete da sempre.
E non intendo dire quello che si ripete di continuo; il veramente < nuovo > è quello che in ogni momento balza fuori sempre da capo a nuova esistenza”.
Merton
Antonio si interroga profondamente sul concetto e sullo studio della Decadenza che viaggia parallela alla Storia dell'uomo. Questa parola che per molti può significare solo aspetti negativi, in realtà è sinonimo di Rinascita; se non ci fosse la decadenza di un popolo, di un uomo, non esisterebbe il concetto “dell'andare oltre”. Certo, nulla è eterno, gli uomini cadono, le civiltà crollano; ma come nella Storia se non ci fosse stata la decadenza del Medio Evo non ci sarebbe stata la luce del Rinascimento, così anche in ognuno di noi non è per natura presente questo stato evolutivo.
“La decadenza è una dimensione della storia.
La storia è un susseguirsi di decadenze.
La decadenza è come qualcuno che ha creato un'opera e ora è anziano ed esausto, una caricatura di sé”.
Cioran
Questo interrogarsi da parte del Maestro è profondamente visibile in quest'opera, accompagnando colui che lo guarda in uno stato di ritorno alle origini, costringendoci a porci delle domande e cercare delle risposte. Si nota la “potenza” materica derivante dalla bravura artistica manuale di Antonio, e quella concettuale.
Questi passaggi evolutivi insiti in ognuno di noi ci porranno la domanda che per natura scaturirebbe : ora vado oltre, ma oltre dove?
Esposizione dei 12 a San Biagio, Triuggio (MB) nel 2018.
Loris Innocenti
Artist Manager