Molto è stato scritto sulla figura di San Paolo di Tarso ma ritengo che è davvero complicato tracciare un ritratto dell’apostolo, «servo di Cristo Gesù, Apostolo per vocazione», come egli stesso si autodefinisce nell’incipit del suo capolavoro teologico, le lettere Paoline. Molto ricca  e complessa è la sua figura e il suo messaggio apostolico al punto da consideralo come uno dei pilastri del cristianesimo.

San Paolo è senza dubbio l’autore di gran parte del nuovo Testamento,  le lettere di Paolo sono tredici testi del Nuovo Testamento. In esse Paolo scrive a varie comunità da lui fondate o visitate nei suoi viaggi apostolici; alcune lettere sono inoltre dedicate a persone a lui care.

San Paolo è forse lo spirito più logico e sottile del suo tempo, sebbene il suo ragionamento  teologico ci possa sconvolgere. Con la sua drammatica tensione intellettuale, si appropria di ogni vocabolo, lo trasforma in una parola nuova, crea opposizioni, che sfuggono a chi non vive nella sua architettura mentale; gioca drammaticamente sulle antitesi; e così può portare il suo pensiero all’estremo, fino all’ultimo paradosso per rovesciarlo nel suo contrario. I meravigliosi scorci e aforismi di san Paolo, i suoi lampeggianti scoppi di tenebra si sono impressi per sempre nella memoria dell’Europa e della cristianità.

Il Nuovo Testamento è caratterizzato dalla presenza di due grandi teologi, Giovanni e Paolo. Il pensiero teologico di Giovanni è meditativo, e ha influenzato profondamente fino a oggi le Chiese orientali. Paolo ha posto al servizio della fede anche un acuto conflitto di natura logica, ispirando lo stesso Agostino, in qualità di uno dei maggiori pensatori dell'antichità cristiana.

Paolo ricevette la propria formazione teologica presso la scuola del famoso rabbino Gamaliele il Vecchio (Atti, 22, 3). Nel primo secolo i letterati ebrei prendevano parte apertamente ai dibattiti intellettuali del loro tempo. All'epoca del figlio di Gamaliele si dissertava non solo dell'Antico Testamento ma anche della "saggezza greca" (Talmud babilonese, Sota ; Baba Kama).

Paolo, nella sua veste di cristiano, non dimenticò quanto aveva appreso da Gamaliele. Nelle sue lettere, l'apostolo si serviva delle tecniche logiche e retoriche all'epoca riconosciute e comunemente utilizzate.

San Paolo è stato definito  come “secondo fondatore del cristianesimo” tesi che ha avuto una certa presa nel Novecento in ambito luterano ma è una tesi ormai superata infatti l’Apostolo stesso dice: “Io vi ho trasmesso quel che anche io ho ricevuto”. Quello che voglio dire è che c’è una fede delle origini che è assolutamente pre-paolina, la sua originalità ermeneutica elabora il dato della fede, che è anteriore a lui. Per questo quella contrapposizione non ha, alla fine, nessun senso.

L’importanza che Paolo conferisce alla Tradizione viva della Chiesa, che trasmette alle sue comunità, dimostra quanto sia errata la visione di chi attribuisce a Paolo l’invenzione del cristianesimo: prima di evangelizzare Gesù Cristo, il suo Signore, egli l’ha incontrato sulla strada di Damasco e lo ha frequentato nella Chiesa, osservandone la vita nei Dodici e in coloro che lo hanno seguito per le strade della Galilea. (Paolo, stando sia agli Atti degli Apostoli che alle sue stesse lettere, non incontrò mai Gesù; lo conobbe solo dalle proprie visioni e dalle conversazioni con altri cristiani. Ciò nonostante, le sue lettere, scritte in un periodo che va dal 50 al 65, sono state consultate anche per testimonianze riguardo alla storicità di Gesù).

San Paolo nacque a Tarso, nella Cilicia, intorno al 5-10 d.C. La sua famiglia era di origine ebraica, ma godeva della cittadinanza romana. Paolo(nome romano Paolo ”piccolo”, ”poco”), o Saul, come si chiamava allora, crebbe nell’ambito della cultura ebraica, e anche i suoi studi seguirono i dettami della scuola rabbinica.

Il suo nome originario era lo stesso del primo sfortunato re di Israele, Saul. «Sono un ebreo di Tarso in Cilicia», dichiara al tribunale romano che gli chiede le generalità al momento dell’arresto a Gerusalemme (Atti 21,39). In polemica con i suoi detrattori ebrei di Corinto rivendica le sue radici: «Sono essi ebrei? Anch’io lo sono. Sono israeliti? Anch’io. Sono stirpe di Abramo? Anch’io»

Il ruvido mestiere di lavoratore del cuoio per costruire tende o altri oggetti (cf At 18, 3), gli è stato probabilmente trasmesso dal padre. L’apprese tra i 13 o i 15 anni, giusto il detto rabbinico: «Chiunque non insegna a suo figlio un lavoro, gli insegna ad essere ladro» (Tos. Qidd. 1, 11). Paolo parlerà spesso del suo lavoro manuale, «notte e giorno»: «Vi ricordate, fratelli, l’arduo lavoro e la fatica nostra» (1Tess 2, 9; cf anche 2Tes 3, 8; 1Cor 4, 12; 2Cor 11, 27). Questo gli permetterà di non gravare sulle sue Chiese per provvedere ai bisogni economici personali e dei collaboratori (cf At 20, 34; 1Tes 2, 9; 1Cor 4, 12; 9, 7-15; 2Cor 12, 13-14).

Il ritratto fisico è tracciato nell’apocrifo Atti di Paolo e di Tecla, testimonianza della pietà popolare alla fine del 2° secolo: «Era un uomo di bassa statura, la testa calva e le gambe storte, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità; a volte, infatti, aveva le sembianze di un uomo, a volte l’aspetto di un angelo». Risalgono al 4° secolo i ritratti iconografici a noi giunti: vi è espressa l’intenzione di rappresentare il filosofo cristiano, dotandolo di barba. Come scrisse s. Agostino: «La barba è segno dei forti, la barba indica i giovani, gli strenui, le persone attive, gli uomini vivaci (Enar. in Ps. 132). Per quanto riguarda il suo temperamento, oggi gli psicologi lo classificherebbero come un ”passionale”, un emotivo attivo secondario, cioè il carattere più completo.

San Paolo di Tarso può essere considerato senza dubbio  il primo, grande missionario della Chiesa cristiana. La sua opera di proselita, il suo contributo nella diffusione del messaggio evangelico in tutto il bacino del Mediterraneo, non conosce uguali. Questa sua eccellenza risulta ancora più straordinaria se si pensa alla sua conversione da feroce persecutore dei cristiani a loro pastore e difensore. Sebbene egli non avesse conosciuto di persona Gesù, paradossalmente fu tra i suoi discepoli il più fervente e appassionato. La sua stessa vita, di fatto, è una testimonianza della grandezza divina, del potere salvifico della Grazia.

Paolo è il padre del sottile Agostino, Paolo è il padre dell’arido Tommaso d’Aquino, Paolo è il padre del tetro calvinista, Paolo è il padre del bisbetico giansenista. Gesù è, invece, il padre di tutti coloro che cercano nei sogni dell’ideale il riposo delle anime loro.

Oggetto d’indomato amore e di ardente detestazione, Paolo traccia una discriminante soprattutto tra giudaismo e cristianesimo ma anche tra ellenismo e cultura cristiana.

Inviato a Gerusalemme per studiare, ebbe il primo contatto con i cristiani ai suoi occhi una setta di pericolosi sovversivi da estirpare con ogni mezzo in nome della legge giudaica.

Crescendo, il suo fervore anticristiano si tramutò in una vera e propria missione. San Paolo, prima di divenire colui che sarebbe divenuto, contribuì all’arresto e alla condanna di innumerevoli cristiani.

Fu proprio mentre inseguiva un gruppo di cristiani in fuga verso Damasco che fu colto da un’improvvisa visione. Una luce dal cielo lo investì, rendendolo cieco, e una voce gli chiese: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”. E lui: “Chi sei o Signore?”; e la voce: “Io sono Gesù che tu perseguiti. Orsù alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare” (Atti 9, 3-7).

Non fu facile per Saul comprendere quella chiamata, né adeguarsi alla sua nuova vita. Rinnegato dalla sua stessa gente, guardato con sospetto da coloro i quali erano abituati a vederlo come un nemico, iniziò la sua predicazione armato solo del proprio entusiasmo. L’incontro e la frequentazione con Pietro e gli altri Apostoli lo resero edotto riguardo alla vita e alla Parola di Gesù. Da allora intraprese una serie di viaggi apostolici, spesso accompagnato dall’apostolo Barnaba e da altri discepoli e amici. Conobbe persecuzioni e prigionia, da parte degli ebrei e dei romani, ma non si fermò mai, animato da uno zelo inesauribile, da una sete di verità contagiosa. La sua missione lo portò al martirio, a Roma.

Le Lettere e i testi che ha lasciato sono alla base della Dottrina della Chiesa come la conosciamo.

Egli ha toccato nei suoi studi e nelle sue predicazioni tutti gli argomenti legati alla vita terrena degli uomini e al cammino verso la salvezza.

In San Paolo la Chiesa riconosce uno dei suoi più grandi sapienti, e il primo dei suoi predicatori.

Paolo è riuscito a ispirarci con la sua fede e il suo coraggio. La sfida che ha affrontato era estremamente più grande di quella che sta di fronte a noi. Cos'era una manciata di cristiani in confronto al potente impero romano e all'affascinante cultura pagana dell'ellenismo? Dal punto di vista umano, niente! Ma Paolo ha contrapposto a tale punto di vista la propria convinzione:  "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Filippesi, 4, 13). Questa frase non è stata scritta da Paolo in un momento qualsiasi, ma durante la sua prigionia. L'apostolo sperimentò allora la stessa situazione condivisa oggi dai cristiani in molti Paesi del mondo:  si può imprigionare chi annuncia il Vangelo, ma non il Vangelo (Filippesi, 1, 12-14).

Paolo si è affidato alla potenza di Dio e dello Spirito Santo, ma questo non gli ha impedito di operare nella sua missione in modo strategico e metodico. Solo due indicazioni a tale proposito. Paolo si è concentrato sulle città di provincia come Salonicco, Corinto ed Efeso. Credeva, a ragione, che in seguito alla costituzione di comunità in questi punti nevralgici per le comunicazioni il Vangelo potesse diffondersi nelle regioni limitrofe. Tuttavia, queste regioni erano molto distanti dal punto di vista geografico, cosicché sussisteva il rischio di uno sviluppo non omogeneo. L'apostolo lo scongiurò recandosi in visita in questi luoghi, inviando lettere e collaboratori. L'organizzazione di un collegamento fra così tanti collaboratori e gruppi era per l'epoca un enorme impegno dal punto di vista logistico. Questo ci fornisce un'importante indicazione. Non si tratta solo di emulare i metodi missionari di Paolo. Grazie alla radio, alla televisione e in particolare a internet, abbiamo a disposizione delle opportunità di comunicazione con le quali possiamo raggiungere anche le persone che vivono nei paesi più remoti. Paolo si complimenterebbe di cuore con noi per questa modernità, se concordiamo con lui su di un punto:  esiste solo "un Vangelo di Gesù Cristo" (Galati, 1, 8) ed "è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo e poi del Greco" (Romani, 1, 16). Anche oggi non sussiste alcun motivo per vergognarsi di questo Vangelo.

Secondo la tradizione cristiana Paolo morì durante la persecuzione di Nerone, decapitato (pena di morte dignitosa riservata ai cittadini romani) presso le Aquæ Salviæ, poco a sud di Roma, probabilmente nell'anno 67 d.C.

Secondo alcuni storici , Paolo di Tarso non si aspettava il martirio. Aveva grande fiducia nella lex romana. Era un Ebreo della parte dei Farisei, ma parlava e scriveva greco, aveva familiarità con lo sport - da esso sono tratte le sue metafore "sto per sciogliere le vele", "ho terminato la mia corsa", "ho conservato alta la fiaccola della fede", "ho combattuto la buona battaglia". Soprattutto Paolo era cittadino romano e nutriva una incrollabile fiducia nella tradizione giuridica di Roma: pur essendo stato arrestato a Gerusalemme dal Sinedrio probabilmente come sovversivo, ed avendo trascorso gli arresti domiciliari a Cesarea, chiese lui stesso di essere processato a Roma».

 

di Calogero Antonio Pennica

e Vincenzo Chiapparo

 

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