Oggi presento, in veste rinnovata, l'incredibile e sconosciuta storia del beato Karl I d'Asburgo nei suoi colpi di restaurazione in Ungheria. Una grande storia di umanità e rettitudine che si apprestava ad affrontare la strada del martirio.
Per riprendere Marguerite Yourcenar: "Ma altre orde sarebbero venute, altri falsi profeti, i nostri deboli sforzi per migliorare la condizione umana saranno continuati con scarso impegno dai nostri successori; il seme di errore e di morte che anche il bene contiene in sé crescerà mostruosamente nel corso dei secoli. Il mondo, stanco di noi, si cercherà nuovi padroni; quel che ci era parso saggio, apparirà vano, quel che ci era apparso bello apparirà orribile. Il gioco stupido, osceno e crudele continuerà, e la specie umana invecchiando vi aggiungerà senza dubbio nuove raffinatezze d’orrore. La nostra epoca di cui conoscevo meglio di chiunque altro le insufficienze e le tare, forse un giorno sarà considerata, per contrasto, come una delle età dell’oro dell’umanità. Natura deficit, fortuna mutatur, deus omnia cernit. L’incivilimento dei costumi, il progresso delle idee durante l’ultimo secolo è opera d’una minoranza esigua di spiriti illuminati; la massa resta ignara, feroce quando può, sempre egoista e gretta, e si può scommettere fondatamente che tale resterà sempre".

Arch. Giuseppe Baiocchi, presidente di Das Andere

 
Così si esprimeva Karl I von Habsburg-Lothringen-Este – che seguendo la linea della corona ungherese è denominato come Károly IV – il 26 Marzo del 1921 tornato dall’esilio in Ungheria per ripristinare la Monarchia, del defunto Impero dell’Austria-Ungheria.
 

Karl I successe ai Troni nel novembre 1916 dopo la morte di suo prozio, l’imperatore Francesco Giuseppe. Il 2 dicembre 1916 assunse il titolo di comandante supremo dell’intero esercito, succedendo all’arciduca Federico . La sua incoronazione a Re d’Ungheria avvenne il 30 dicembre. Nella foto: Re Karl IV d’Ungheria, la regina Zita e il loro figlio, il principe ereditario Otto, nel dicembre 1916.

 

«Un sentimento indescrivibile nel ritrovarsi, sconosciuti, in casa propria… Sul confine, dalla parte ungherese, c’era un vecchio maresciallo dei gendarmi nativo di Debreczen, un tipico figlio della puszta, bruno di colorito, che non sapeva nemmeno da che parte dovesse incominciare a controllare un passaporto. Accanto a lui c’era un soldato con i calzini estivi di tela.. proseguimmo per Pinkafö, dove mangiammo nella Gasthaus Jenner. Il primo pasto caldo dopo due giorni: Schnitzel con cetrioli sott’aceto. Dopo, l’oste conservò le posate e i resti del mio cetriolo come ricordo. Era interessante vedere con quale entusiasmo la gente accettava valute estere. Pagammo il pasto in franchi francesi, la macchina in franchi svizzeri. Da Pinkafö continuammo per Oberwarth, dove in quel momento si snodava la processione del Resurrexit.
Quando ci passò davanti scendemmo dall’auto e ci inginocchiammo. La seguiva la guarnigione della cittadina, con gli uomini vestiti delle uniformi del buon tempo andato e l’artiglieria con i cartocci. Fu un momento di indicibile sollievo, specie alla vista delle mie vecchie uniformi. Da Oberwarth proseguimmo per St.Mihály.. Chiesi ad alcune persone che aspetto aveva il loro Re. Come avevo immaginato, mi fecero vedere delle fotografie, però nessuno mi riconobbe. Alla fine brindammo tutti alla salute del sovrano; mi rimproverarono perché non avevo vuotato anch’io il bicchiere in solo sorso come loro. Non ne ero stato capace perché il vino era troppo forte per me. Siccome la macchina era rimasta in panne, continuammo verso la nostra prima destinazione, Szombathely, su un calesse tirato da cavalli. Vi arrivammo verso le dieci di sera, e ci fermammo proprio davanti al palazzo vescovile. Il vescovo stava ancora pranzando e aveva come ospite un ministro ungherese, il dottor Vass. Quando Tamás mandò su un domestico incaricato di chiedere ospitalità per la notte per lui e un altro signore, il vescovo a tutta prima si dimostrò abbastanza irritato. Ma siccome era un anfitrione scese nel salone per accoglierci. Ci porse la mano e poi rimanemmo un momento in silenzio. Tamás gli chiese se non riconosceva il gentiluomo in sua compagnia. Il vescovo disse no. Allora Tamás gli dichiarò, in tono solenne, che era nientemeno che Sua Maestà apostolica il Re. Il vescovo ebbe un sussulto e mi condusse in una stanza attigua, dove chiese: «È lei veramente?». Gli confermai che ero io. Il ghiaccio era rotto».
Dopo la conclusione del conflitto mondiale nel 1918, le potenze vincitrici con tre trattati di pace, rispettivamente Versailles (per la Germania 1919-20), Saint German (per l’Austria 1919) e Trianon (per l’Ungheria 1920), impongono la pace agli sconfitti. Il bilancio sotto il profilo geopolitico è catastrofico: l’Impero dell’Austria-Ungheria per gli interessi anglo-francesi viene smembrato in tanti piccoli Stati nazionali, appellandosi ai fatali punti Wilsoniani riguardanti il concetto dell’autodeterminazione dei popoli.
L’ultimo Imperatore, Karl I von Habsburg-Lothringen-Este, nel 1919 è costretto all’esilio. Così scrive in una lettera negli istanti più concitati da Feldkirck il 24 marzo: «Nel momento in cui m’accingo a lasciare l’Austria tedesca per entrare nella Svizzera ospitale, elevo solenne protesta per me e per la mia Casa, di cui fu cura continua la felicità e la pace dei suoi popoli, contro le misure che ledono i miei secolari diritti di Sovrano, prese dal Governo e dalla Assemblea Costituente l’11 novembre 1918, e contro la mia deposizione dal trono, l’esilio mio e dei membri della Casa Asburgo-Lorena proclamate per l’avvenire. Nel manifesto dell’11 novembre 1918 ho dichiarato di rimettere all’Austria tedesca il diritto di decidere sulla forma di Stato. Il Governo austro-tedesco, lasciando a parte il mio manifesto scritto in un’ora assai penosa, decise lo stesso giorno di proporre all’assemblea Nazionale provvisoria, che doveva aver luogo il 12 novembre, la proclamazione della Repubblica austro-tedesca, anticipando così quella decisione che, secondo il mio manifesto, spettava di diritto soltanto all’intero popolo austro-tedesco.
 

Il castello di Prangins, residenza svizzera dell’ultimo Imperato dell’Austria-Ungheria Karli I, è un castello nel comune di Prangins nel Canton Vaud in Svizzera . Si tratta di un sito del patrimonio svizzero di importanza nazionale. Ospita una parte del Museo nazionale svizzero. La terrazza regala viste sul Lago di Ginevra e sulle Alpi.

 
Questa proposta del Governo austro-tedesco, sotto la pressione della flotta radunata, venne approvata il 12 novembre 1918 da un’Assemblea Nazionale provvisoria, i cui membri si erano da soli conferiti il mandato di rappresentare il popolo austro-tedesco senza potersi considerare rappresentanti eletti, poiché essi provenivano dall’antico parlamento austriaco che non aveva avuto dagli elettori la autorità di oltrepassare le funzioni costituzionali. Oltre a ciò ha avuto luogo la contraddizione che gli stessi elementi che hanno determinato il crollo e che fino ad allora avevano vivacemente combattuto la riunione dell’Assemblea Nazionale provvisoria, vollero poi lasciar decidere a questa Assemblea il destino dell’Austria in una delle sue questioni più vitali.
La Costituente, eletta il 16 febbraio 1919, si sostituì all’assemblea Nazionale provvisoria e confermò le sue deliberazioni riguardo la forma di Stato e l’annessione alla Germania. Anche tali deliberazioni non hanno alcun potere impegnativo, perché la costituente non è l’espressione dell’opinione e della volontà dell’Austria-tedesca. Il pubblico anche fuori dall’Austria tedesca sa che le elezioni per la Costituente ebbero luogo sotto il regno del terrore, e che gli elettori che il 16 febbraio 1919 andarono alle urne, non votarono affatto spontaneamente ma sotto l’influenza di un metodico incitamento e sotto la pressione di una milizia di partito della Volkswehr. La Costituente eletta il 16 febbraio 1919 andarono alle urne, non votarono affatto spontaneamente, ma sotto l’influenza di un metodico incitamento e sotto la pressione di una milizia di partito. La Costituente eletta il 16 febbraio 1919 non è affatto rappresentanza della Nazione austro-tedesca, come l’ha definito il governo austro-tedesco. Vasti territori reclamati da questo stesso governo, come ad esempio le zone abitate da Tedeschi del Sud Tirolo, della Boemia, della Moravia, della Corinzia, della Carnia e della Stiria, non sono rappresentate in questa Costituente, mentre invece hanno votato stranieri, come i Tedeschi di Germania che vivono in Austria. Una rappresentanza nazionale di uno Stato senza confine composta così arbitrariamente si è arrogato il diritto di decidere sulla forma e l’ordinamento di uno Stato non ancora costituito secondo il diritto del popolo. Tutto ciò quindi che il Governo austro-tedesco e l’Assemblea Nazionale provvisoria e costituente hanno deciso e decretato dall’11 novembre in poi, e ciò che disporranno in avvenire, è nullo e non valido per me e per la mia Casa.
La permanenza mia e della mia famiglia a Eckartsau non fu mai il riconoscimento di uno sviluppo rivoluzionario che interrompeva la continuità del diritto, ma un pegno di fiducia nel popolo col quale io e i miei abbiamo condiviso i dolori e i sacrifici dell’infausta guerra. In mezzo a questo popolo non ho mai temuto per la sicurezza della mia amata Consorte e dei figliuoli.
Ma siccome il Governo austro-tedesco mi fece sapere a mezzo del suo Cancelliere che, rifiutando di abdicare sarei stato internato qualora non avessi abbandonato il Paese, e poco tempo fa lo stesso Governo a mezzo della “Corrispondenza di Stato” mi aveva dichiarato posto fuori legge, mi trovai di fronte all’importante problema se dovesse essere risparmiata all’Austria la vergogna di abbandonare il suo legittimo capo in preda a un’ondata contro la quale oggi non sta alcuna diga. Per questo motivo io lascio l’Austria. Profondamente commosso e riconoscente ricordo in quest’ora di fedeli che in me e nella mia Casa amano la cara Patria. All’Esercito che mi ha giurato fedeltà e che è legato a me dal comune ricordo dei dolorosi avvenimenti della guerra, un mio particolare pensiero. Durante la guerra fui chiamato al Trono dei miei Padri, mi sforzai di guidare i miei popoli alla pace, e in pace volli e voglio essere per loro un Padre giusto e sincero».
Per la famiglia reale un breve periodo nella placida Svizzera, presso Prangins sul lago di Ginevra, ad intrattenere relazioni diplomatiche con la Francia repubblicana e il Vaticano del Papa Benedetto XV. Obiettivo di Karl è ripristinare la Monarchia in Ungheria, dove le possibilità sono molto più favorevoli rispetto all’Austria: il Paese magiaro infatti dal 1º marzo del 1920, è retto da una vecchia conoscenza dell’Imperatore, Miklós Horthy de Nagybánya (1868 – 1957), paradossalmente l’ultimo ammiraglio della marina austro-ungarica, in una nazione che dopo Trianon, aveva perso l’unico sbocco marittimo, Fiume.
Il nuovo reggente dopo diversi rovesci politici, tra le riforme mancate di Mihály Károlyi e il terrore rosso di Béla Kun, sembrava finalmente aver ristabilito un nuovo equilibrio restaurando la monarchia, con il compito gravoso di decidere se richiamare un Asburgo o scegliere un nuovo Monarca magiaro. Con la fallimentare contrattazione nel trattato di Trianon, dove all’Ungheria vengono sottratti i 2/3 dei sui territori a favore dei nuovi Stati che avrebbero composto la “Piccola Intesa” (Cecoslovacchia, Romania, Regno dei Serbi Croati e Sloveni) il consenso di Horthy sembra traballare.
 

Miklós Horthy de Nagybánya è stato un ammiraglio e statista ungherese di stampo conservatore, che divenne reggente dell’Ungheria, dopo la caduta dell’Impero d’Austria-Ungheria.

 

Dalla Svizzera, Karl continua la trattativa con la Francia per avere il consenso tacito ad effettuare la restaurazione: si vedono due ideologie distanti a livello geopolitico, da una parte Philippe Berthelot (1866 – 1934) – appoggiato anche dal marchese George Nathaniel Curzon – ambiva a creare la Piccola Intesa (1920), per far possedere alla Francia una tenaglia militare contro l’Ungheria e le pretese filo-germaniche degli austriaci; dall’altra Aristide Briand (1862 – 1932) preferiva una confederazione economico-danubiana, filo-francese, che abbia in Karl I il legante tra i vari popoli del suo ex Impero, per porlo come limes all’espansionismo alemanno-tedesco. Sempre nel 1920 si conclude il breve mandato, da Presidente della Repubblica francese, di Paul Deschanel (1855 – 1922) per una grave malattia personale e subentra il socialista Alexandre Millerand (1859 – 1943), il quale non vedeva lesi in alcun modo gli interessi della Francia in una politica asburgica di restaurazione magiara.
Saranno tali premesse e un tacito accordo presidenziale (successivamente pubblicamente smentito per non causare un incidente diplomatico tra Ungheria e Francia) che faranno partire a piedi l’ultimo Imperatore dallo Château de Prangins in Svizzera fino a Gex, cittadina francese sul confine svizzero occidentale. Nella cittadina della Regione dell’Ain lo aspetta una macchina che lo condurrà a Strasburgo dove il giorno dopo, l’Orient-Express lo condurrà direttamente a Vienna. La storia di Karl I ci appare come una sorta di viaggio leggendario, ed in verità deve essere stato così anche per lui: nella capitale del suo ex-Impero saranno in suo possesso due passaporti falsi, uno spagnolo, ed un secondo della croce rossa inglese.
Il beato Karl raggiunge appena arrivato, la sede di un suo antico amico: il conte Thomas Graf Erdödy von Monyorókerék und Monoszló (1886-1931), antico compagno e ufficiale ussaro. La sera del 25 marzo del 1921 fu l’unica notte, nei numerosi anni di esilio, che l’Imperatore trascorse a Vienna. L’indomani la meta è Budapest: prima tappa del viaggio si compie, sempre con il conte Thomas, fino alla cittadina di Seebenstein nel Burgenland (Bassa Austria); successivamente Aspang, Mönichkirchen ed infine il confine ungherese con la cittadina di Sinnersdorf.
Verso sera Karl arriva nella cittadina di Szombathely: deve parlare, all’interno del palazzo vescovile, con il conte e vescovo Gróf zabolai Mikes János (1876 – 1945) e con il ministro e sacerdote Vass József (1877 – 1930); quest’ultimo riferirà all’Imperatore: «il gabinetto del reggente è finito nel momento in cui il re incoronato rimette piede sul suolo ungherese». Viene chiamato al cospetto di Karl anche l’ex ufficiale imperiale e regio, colonnello Anton Lehár (1871-1962), che ora comanda l’intera armata dell’Ungheria Occidentale: è un fedelissimo.
Il presidente del Consiglio conte Pál Teleki de Szék (1879 – 1941) viene svegliato in piena notte e raggiunge la cittadina di Szombathely, la quale si trova ad appena 10 km dalla frontiera austriaca (dopo Trattato di Trianon). Appena giunto dal vescovo il Primo Ministro rimane spiazzato dalla figura del Sovrano e manterrà un atteggiamento di indecisione per tutta la durata del primo golpe reazionario. Tutte le alte cariche dello Stato sono comunque concordi a rimettere sul Trono il loro Re legittimo. Karl non a caso si reca nella cittadina di confine: le fedeli truppe di Lehár, se abilmente mosse in anticipo, potevano costringere Horthy ad una resa immediata, ma egli si fida eccessivamente del “Reggente”, considerandolo ancora fedele alla causa monarchica.
 

Protagonisti del primo colpo di restaurazione del marzo 1921 (da sinistra a destra): Thomas Erdödy von Monyorókerék und Monoszló (1886-1931), conte e vescovo di Szombathely (1911 – 35) Zabola János Mikes (1876 – 1945), József Vass (1877 – 1930), Anton Freiherr von Lehár (1876 – 1962), Sigray Antal Mária Fülöp Alajos (1879 – 1947), László Ede Almásy de Zsadány et Törökszentmiklós (1895 – 1951), Conte Pál Teleki de Szék (1879 – 1941).

 
Durante la discussione su come agire, il Primo Ministro Pál Teleki propone di entrare a Budapest senza la scorta militare, convinto che il dittatore ungherese gli lasci il potere e si metta da parte: Karl si fida e acconsente. Sarà un primo errore fatale. Il piano prevede che il giorno seguente il ministro Vass e il Presidente del Consiglio Teleki anticipino l’arrivo di Karl a Budapest per preparargli il terreno e parlare anticipatamente con Horthy. L’Imperatore verrà accompagnato nel viaggio dal conte Sigray Antal Mária Fülöp Alajos (politico legittimista ungherese e feroce oppositore al nazismo 1879 – 1947) e da László Ede Almásy de Zsadány et Törökszentmiklós (1895 – 1951), colui che diventerà celebre grazie alla penna di Michael Ondaatje nel 1992 con il romanzo The English Patient (Il Paziente inglese), poi reso ancor più celebre dal film di Anthony Minghella del 1996 dall’omonimo titolo. Prima di partire la mattina seguente, il vescovo Mikes celebra la messa, poi l’Imperatore parte sicuro e speranzoso: saprà solo davanti al Palazzo di Budapest che il Primo Ministro Teleki non è mai giunto da Horthy e dovrà farsi annunciare dal conte Sigray che si esprimerà sulle scale, rivolto verso Karl: «Vostra Maestà si dovrà mostrare molto energico».
Furono due ore di trattativa con il “Reggente” ungherese, il quale esclamo: «È una catastrofe. Vostra Maestà deve ripartire subito e rientrare immediatamente in Svizzera! […] che cosa mi offre in cambio Vostra Maestà?». Miklós Horthy dimostrerà un cinismo, che lo farà passare alla storia come uno degli alti tradimenti più gravi verso l’aristocrazia e l’istituto monarchico. Le scuse che il dittatore prende davanti a Karl sono la sicura ostilità dei paesi confinanti, il pericolo di un’invasione straniera, l’inaffidabilità dell’esercito e l’impossibilità di trovare un Ministro che svolga la funzione sotto di un Re. Karl cerca di promettergli titoli per farlo desistere, ma Horthy prende tempo e si aggiudica lo scontro verbale. Sarebbe bastata un’arma da fuoco per riprendere il potere e far desistere il reggente, ma come sappiamo bene, Karl I era un autentico gentiluomo.
Alcuni giorni dopo l’ex Imperatore è nuovamente nella cittadina di Szombathely affranto, ma non ancora piegato: possiede ancora alcune carte da giocare, nonostante la situazione geopolitica si sia complicata, poiché Horthy parlando con l’ambasciatore francese Maurice-Nicolas Fouchet, chiede verità sull’appoggio tacito francese, che da Parigi viene ovviamente smentito.

 

I protagonisti del secondo colpo di restaurazione nell’ottobre 1921: Gyula Gömbös de Jákfa (1886 – 1936), il conte István Bethlen de Bethlen (1874 – 1946), Őrgróf Pallavicini György Mária Arthúr József Ede István Gusztáv Károly (1881 – 1946), Tibor Farkas de Boldogfa ( 1883 – 1940), il conte Gyula Andrássy de Csíkszentkirály et Krasznahorka (1860 – 1929),

 
Il Reggente magiaro inoltre approfittò della prima ritirata di Karl per irrobustire le linee del suo esercito a lui fedeli ed epurare gli ufficiali legittimisti. Mentre l’ultimo imperatore degli Asburgo tornava sul suolo Svizzero, dopo essere stato acclamato in Ungheria il giorno della sua partenza, fu subito da principio chiaro a Karl che un secondo colpo di restaurazione si sarebbe dovuto progettare in brevissimo tempo: difatti gli effettivi del colonnello legittimista Anton Lehár erano stati rinforzati da un nuovo battaglione di gendarmeria, che gli Stati vincitori avevano predisposto alla frontiera con l’Austria per via dell’incidente diplomatico avvenuto con la prima restaurazione primaverile di Karl.
Horthy inizia a temere e con ordine scritto richiama le ulteriori truppe a Budapest per essere riassegnate: il tempo stringe.
Passano solo diversi mesi perché Karl, assorbito il colpo, possa far ritorno nelle sue antiche terre imperiali: arriviamo al secondo colpo di restaurazione di ottobre. Il 20 del mese, insieme a sua moglie Zita Maria delle Grazie Adelgonda Micaela Raffaela Gabriella Giuseppina Antonia Luisa Agnese di Borbone-Parma (1892 – 1989), parte per l’Ungheria a bordo di un monoplano Junkers denominato “Ad Astra” di 180 cavalli e sei posti. Artefici del piano sono due personalità molto vicine a Karl: il barone Albin Schager von Eckartsau (1877 – 1941) e Aladar Boroviczény (1890 – 1963). L’aereo si alza da Dübendorf e fu il primo volo, durato quattro ore, di un sovrano nella storia continentale europea.
Nel frattempo in Ungheria al Presidente del Consiglio Pál Teleki de Szék era succeduto il conte István Bethlen de Bethlen (1874 – 1946) e Horthy continuava a prendere tempo, mandando telegrammi all’Imperatore: «la visita fatta a Pasqua da Vostra Maestà – inerente la restaurazione – appare momentaneamente impossibile […]. Tuttavia desidero cogliere l’occasione per assicurare alla Maestà Vostra che nulla è più lontano da me dell’idea di aggrapparmi alla carica che copro ora; al contrario, attendo con impazienza il momento in cui mi sarà dato abbandonare questa scomoda poltrona». Parole che suonano poco veritiere come ci testimonia lo storico Roberto Coaloa: «Come tutti gli avventurieri politici che l’avevano preceduto e che gli succedettero, Horthy aveva identificato a tal punto l’ambizione col patriottismo, l’egoismo con l’idealismo e addirittura il lusso fastoso con il sacrificio da non riuscire probabilmente a distinguerli più neppure lui».
 

Domenica 23 ottobre del 1921: nella foto Karl I e Zita di Borbone-Parma (a destra in piedi) pregano davanti al convoglio ferroviario di Sopron celebrando la messa mattutina.

 

Karl e Zita arrivati in pieno pomeriggio in territorio magiaro, nei pressi del castello di Denesfa, capiscono subito che la corrispondenza postale – effettuata in precedenza, durante i preparativi del golpe – non ha avuto esito sperato: tutti i protagonisti e alleati dell’Imperatore lo attendono per le 24 ore successive. Nonostante i primi disagi sia il colonnello Lehár, che il conte Gyula Andrássy de Csíkszentkirály et Krasznahorka (1860 – 1929) leader del partito legittimista ungherese e ex Ministro degli Esteri dell’ultimo anno imperiale dell’Austria-Ungheria, si mettono a disposizione del Sovrano. Il gruppo di comando trasla velocemente verso quello che sarà il nuovo e spartano quartier generale a Sopron: lì sono attesi da altri due collaboratori di Karl, il politico reazionario István Rakovszky de Nagyrákó et Nagyselmecz (1858 – 1931) e dal dottor Adolf Gratz Gusztáv (1875 – 1946).
La folla che accoglie i regnanti è immensa: sia i militari, che la popolazione civile inneggiano a Károly IV. Il piano è semplice: servirsi del convoglio ferroviario che avrebbe riportato la guarnigione a Budapest e deporre Horthy dalla reggenza del Regno. Lo scacco sembra essersi compiuto e il 22 ottobre il convoglio legittimista, composto da circa 1500 militari e politici reazionari è diretto a Budapest, all’oscuro del Reggente. Il treno giunge a 12:00 presso la cittadina di Győr, dove ad attenderli vi sono altre truppe legittimiste che compiono il giuramento: «Attraverso l’acqua e il fuoco, sul mare, per terra e nell’aria per Dio, per il re e per la patria».
Il primo tradimento verso Karl, lo compie il comandante della guarnigione di Győr, che fa avvertire Horthy, il quale è completamente impreparato e spaventato. Nonostante alcuni ordini frettosi del Reggente, di smantellare parti ferroviarie dirette a Budapest da Occidente, il piano di rallentamento, pare non funzionare, anzi le guarnigioni dirette ad affrontare l’Imperatore non solo non sparano un colpo, ma si uniscono ai legittimisti: così avviene presso diverse cittadine magiare, come Komarom, Tata, Potis e Bcske.
 

Il giuramento di fedeltà al beato Imperatore Karl, da parte delle truppe legittimiste magiare.

 
In linea generale nonostante Karl fosse arrivato senza preavviso sul suolo Ungherese e nonostante il piano iniziale della sorpresa era venuto meno, tutto sembra proseguire per il meglio. La mattina seguente il treno arriva nei pressi di Buda con 4000 uomini effettivi. Nella capitale Horthy sembra non avere più in mano carte da giocare e si affida completamente alle doti dell’ambizioso Gyula Gömbös de Jákfa (1886 – 1936), futuro generale filo-nazista. Quest’ultimo non trovando truppe a lui fedele, rimedia 300 studenti universitari, armati in tutta fretta, inventando un’inesistente invasione ceca della capitale. Gli studenti nazionalisti ebbero una prima scaramuccia con un contingente mandato avanti da Lehár, provenienti da Budaörs e mandati ad occupare il sobborgo di Kelenföld. Ci furono diverse perdite tra i legittimisti, i quali ripiegarono, comportando un abbassamento del morale al colonnello Lehár (nel frattempo promosso generale), che dichiarò inaspettatamente le sue dimissioni, fidandosi di lasciare l’incarico al generale Pál Hegedűs (1861 – 1944). Come testimonierà un giornale italiano “L’illustrazione italiana” sull’accaduto: «Quanto al colonnello Lehár, lasciamolo stare. Ogni condottiero trova gli uomini che si merita. Napoleone ha tratto fuori dal popolo, persino dalla bassa forza, i suoi grandi marescialli; Karl ha trovato Lehár. Quelli uomini della Marsigliese, questo, del Valzer, bella cosa è il valzer. Ma le trombe, se vogliamo davvero far crollare le mura di Gerico, han da suonare altre musiche! Se valzereggiano, Gerico resta in piedi; e Karl resta a piedi».
 

Truppe leali all’Imperatore accolgono il vagone dei legittimisti magiari presso Sopron.

 

Sulla fedeltà del generale nei confronti di Karl non ci fu nulla da eccepire, ma il morale basso delle truppe era dovuto alla forte instabilità politica, economica e militare magiara, che proseguiva da almeno quattro anni dalla fine della Grande Guerra.
Contrariamente sarà il generale Pál Hegedűs a tradire l’Imperatore Karl operando il passaggio degli artiglieri, fondamentali nell’operazione bellica, dalla parte di Horthy il giorno seguente, grazie ad una tregua proposta dallo stesso generale magiaro voltagabbana, che aveva fatto sistemare le truppe del Reggente su posizioni favorevoli verso un eventuale assalto legittimista del giorno seguente.
Hegedűs rivelò il tradimento quando tornato a Torbágy, nei sobborghi della capitale, chiese l’esonero accampando la scusa che i propri figli si erano arruolati nelle truppe nazionali del Reggente. Resta un mistero ancora oggi, del perché Hegedűs non fosse stato arrestato. Durante la notte alcune guarnigioni di Karl vengono fatte prigioniere, poiché la tregua non viene rispettata da parte di Horthy, il quale giocò una partita sporca dall’inizio alla fine della vicenda: le uniformi dei due eserciti non avevano motivi differenti e molto spesso tale ambiguità giocò contro i legittimisti.
La mattina seguente il reggente propone le “condizioni di pace”, le quali vengono lette sul treno in partenza, diretto verso la capitale per l’ultimo scontro: quello decisivo. Le condizioni proponevano la consegna del materiale bellico e l’abdicazione al trono d’Ungheria da parte di Karl, con la sicurezza garantita alla sua persona e alla sua famiglia in territorio magiaro. Nel mentre della lettura, fuori dallo scompartimento, partono alcuni colpi, che creano molta confusione tra le truppe legittimiste, le quali in brevissimo tempo capiscono di essere state accerchiate. Sarà lo stesso Karl I ha dichiarare ai suoi uomini il “cessate il fuoco” poiché oramai tutto sarebbe stato inutile. Ancora una volta Karl perse poiché il suo animo nobile non vide la meschinità dietro alcuni suoi collaboratori: per un individuo della sua virtù era inconcepibile il tradimento senza scrupoli. Il destino di una intera generazione di ungheresi veniva segnato il 23 ottobre del 1921: il treno tornò indietro verso Bicske, concludendo il secondo e ultimo tentativo di restaurare il legittimo re d’Ungheria.
 

Nella foto, truppe leali a Károly IV, attendono il re nella stazione ferroviaria di Győr, il 20 ottobre del 1921.

 
Lo spazio geopolitico ed economico di cui gli Asburgo erano stati espropriati dopo la Grande Guerra diverrà ostaggio di dittatori filo-fascisti e successivamente satellite dell’Imperialismo bolscevico. Lo stesso Karl scrisse: «Il territorio situato sulle due parti del medio Danubio dopo la scomparsa dell’Austria-Ungheria non è soltanto la patria di uomini disperati che soffrono duramente, ma un focolare di pericoli di grande importanza. E non poteva essere altrimenti, poiché la disgregazione dell’Austria-Ungheria fu la violazione di principi storici, geografici, etnografici, economici, sociali e culturali. Nel territorio fra Teschen e Buda, Bregenz e Czernovitz vivevano e vivono, in alcuni luoghi in massa compatta, in altri confusi tra loro, Tedeschi, Magiari, Cechi, Slovacchi, Polacchi, Ucraini, Croati, Serbi, Sloveni, Italiani, Rumeni, Ladini, Turchi, Armeni, Zingari e alcune altre frazioni di popoli. Nessuna di queste nazioni possiede un territorio ben determinato e non intaccato da altre nazionalità. Perfino in mezzo agli italiani (un tempo austriaci) che si sono uniti ai connazionali d’Italia e il cui confine linguistico settentrionale è abbastanza evidente, si trovano isole di lingua straniera, ad esempio quelle tedesche del Piano di Lavarone e di Folgaria, della Val di Non, a nord-est di Trento, ed altre ancora. […] Voler soddisfare in modo generale ed effettivo il diritto di autonomia nazionale porterebbe ad una scomposizione in atomi della Vecchia-Ungheria sì da far sorgere dalle sue citate isole linguistiche altrettanti Stati. […] Fu un grande danno per l’Europa che l’antica formazione economica danubiana sia andata perduta, poiché nessuna nuova può sostituirla ed ivi oggi esiste un vuoto. Non si deve ritenere che un sistema fluviale abbia sempre e dovunque la forza di formare e mantenere Stati, ma in base a un sistema fluviale si costruisce un sistema economico quando le parti vitali di un tale sistema sono state già un tempo riunite in uno Stato, sistema economico che è frutto del lavoro dei secoli e che non può essere cambiato dall’oggi al domani […]. Distruggere un’opera così portentosa, delicata come un congegno d’orologio, pensiero, volontà e prodotto dell’economia moderna significa creare un cumulo di macerie».
 
 
Per approfondimenti:
_Baiocchi G., Finis Austriae. Sul tramonto dell’Europa, Il Cerchio, Rimini, 2019;
_Brook-Shepherd G., La tragedia degli ultimi Asburgo, Rizzoli, Milano, 1974;
_Coaloa R., Carlo d’Asburgo, l’ultimo imperatore, Il canneto editore, Genova, 2012;
_Werkmann K., Il morto di Madeira – L’esilio di Carlo I in Svizzera – I tentativi di restaurazione in Ungheria – La morte, Felice Le Monnier, Firenze, 1924.
 

Fonte: Das Andere

Tota Pulchra: Associazione per la promozione sociale

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