L'architetto Giuseppe Baiocchi presenta la sua ultima committenza dell'anno solare: progetto per un Pavillon in Stiria, Austria. 

Intervistandolo su questo singolare progetto, Baiocchi dopo aver ringraziato il committente, ha asserito: «Ringrazio per questa straordinaria possibilità. Credo che la sfida in architettura oggi sia quella di ritornare non solo verso una forma tipologia visibile, ma verso una metrica e un decoro architettonico. Questo progetto dimostra una nuova sfida nell'architettura: riunire nuovamente l'archè alla techne, la bellezza alla tecnologia odierna».

Da paveillon nel tardo latino e nel francese antico, significava sia “farfalla” che “tenda”, perché la tela di una tenda assomigliava alle ali spiegate di una farfalla. Situato in un parco di proprietà, il manufatto edilizio, progettato in sezione aurea, presenta una planimetria ottagonale, secondo lo stile tardo barocco/classicista, avente una dimensione di 3,70 x 3,70 metri con un altezza di 5,94 metri. Cromaticamente l’epidermide della struttura ha avuto applicato il giallo “Schönbrunn”, mentre per le finestre si è adottato una struttura lamellare sul vetro, con lamelle e riquadri all’inglesine. Infine per la copertura si è optato per il manto a scandola con un coronamento a cipolla del classico gusto della controriforma.

Tale progetto, a cui l'arch.Baiocchi ci ha abituato, risveglia il ragionamento di come oggi bisogna sempre più preoccuparsi dell'atteggiamento filosofico di moltissimi architetti e tecnici rispetto all’intera questione della progettazione edilizia nella misura in cui incide sulla gente e la sua vita.
Molti architetti e imprenditori edili credono che l’architettura debba rispecchiare lo spirito del tempo, poiché l’architettura contemporanea deve rispecchiare il dominio dell’alta tecnologia e l’evidente trionfo meccanico dell’uomo sulla natura.

Evidentemente, in quest’ordine d’idee, il passato è ampiamente irrilevante e il suo significato e le sue lezioni devono essere cancellate.

Quando l'uomo perde il legame col passato perde l’anima. Allo stesso modo, se respingiamo il passato architettonico allora anche i nostri edifici perdono la essenza. Se abbandoniamo i principi tradizionali su cui l’architettura si è basata per 2.500 anni o più, la nostra civiltà ne soffre. Le nostre vite possono essere dominate da forme di tecnologia sofisticata, ma noi possediamo anche un più grande retaggio.

Non c’è nulla di erroneo da imparare dal passato, nell’applicare le lezioni che i nostri predecessori hanno appreso con tanta pena, nel riconoscere che il nostro particolare retaggio isolano è il risultato della risposta a condizioni climatiche e alla disponibilità di determinati materiali locali e dell’ispirazioni fornita dai grandiosi esempi dell’architettura europea.

Questi concetti ci danno un senso di appartenenza di ordine, d’importanza vitale per il nostro sviluppo di esseri umani. Non siamo i soli a nutrire inquietudini per la strada intrapresa dall’architettura moderna o anche postmoderna.

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