La caratteristica dei Borbone è aver rivoluzionato l’assetto feudale della Sicilia. Le riforme iniziarono con Carlo III nella seconda metà del 1700 e investirono l’ambito sociale ed economico dell’isola. Il sovrano diminuì i privilegi della nobiltà siciliana ed estese il controllo sui privilegi ecclesiastici. Fu “padre” dei piani urbanistici per le città principali dell’isola, diede luogo alle catastazione degli immobili, alla nascita dei cimiteri pubblici. Ai Borbone si deve la riforma della giustizia e il riavvio delle ricerche scientifiche in ambito agricolo e commerciale. Da questo nuovo assetto prese vigore l’economia siciliana con l’affermazione di una nuova e florida classe borghese agraria e mercantile e una sostanziale conversione di investimenti in settori come lo zolfo, il sale, ricordiamo le saline del trapanese, la produzione vitivinicola con investienti anche impegnativi di investitori siciliani ed europei, prevalentemente inglesi. Questa nuova borghesia era detentrice della maggior parte delle fortune dell’isola e cominciò a guardare con interesse alla classe nobile, che a volte non riusciva a difendere i propri patrimoni. Molti i matrimoni “misti”, riportati anche dalla letteratura siciliana dell’epoca. Ci fu dello scontento nella nobiltà, ma nonostante questo nuovo assetto sociale, i Borbone poterono contare sull’appoggio incondizionato di alcune famiglie della migliore nobiltà siciliana.
Andiamo con ordine a citare queste famiglie:
Filangeri: La famiglia Filangeri è una delle grandi famiglie della nobiltà italiana. Di origini normanne si radicò nel Mezzogiorno d’Italia, occupando ruoli ed incarichi importanti nel Regno di Sicilia e nel Regno di Napoli. Illustrissimo il ramo napoletano a servizio degli Altavilla e della casata degli Hoenstaufen. Il ramo siciliano discende da Riccardo Filangeri conte di Marsico e signore di San Marco. I rami di questa famiglia sono cinque: Principi di Arianello e Satriano e per il ramo siciliano, conti di San Marco e principi di Mirto, baroni di Miserendino e principi di Cutò, di Suttafari e di Santa Flavia e duchi del Pino. Sarà il ramo dei principi Filangeri di Cutò a legare il cognome alla casa reale di Borbone con Girolamo, capitano giustiziere nel 1743 e gentiluomo di Camera di Carlo III. Il prestigio della famiglia crebbe ulteriormente quando Alessandro ottenne l’incarico di vicerè di Sicilia e luogotenente generale del Regno, incarico che mantenne anche il figlio Niccolò Filangeri.
Gravina: principi di Palagonia e Ramacca. I Gravina sono un’importante aristocratica famiglia italiana di origine normanna, discendente da Rollone primo, duca di Normandia e protogenitore, attraverso Guglielmo il conquistatore, di svariate dinastie reali, prima fra tutte la famiglia reale inglese. Il capostipite del ramo italiano fu Silvano, signore di Gravina di Puglia. Nel 1400 giunsero in Sicilia, dimostrando fedeltà alla corona d’Aragona e poi a quella degli Asburgo, tanto da spingere Filippo V a concedere a Giovanni Gravina, il titolo di Grande di Spagna. Sotto il periodo borbonico i Gravina ricoprirono il ruolo di vice reggenti in Sicilia e ad emergere fu Francesco Paolo, ottavo principe di Palagonia e di Lercara, grande di Spagna di prima classe, cavaliere dell’Ordine di San Gennaro e gentiluomo di Camera di sua maestà Ferdinando IV .
Lucchesi Palli principi di Campofranco: Famiglia nobile di origine Longobarda. Molti storici ritengono più legato alla casa di Borbone Antonino Lucchesi Palli che sposò Francesca Paola Pignatelli. Nel 1808, questi costituì un reggimento di fanteria a sue spese e nel 1810 fu deputato del Regno Borbonico per il braccio militare.
Fin dai primi anni di permanenza dei Borbone in Sicilia, il principe di Campofranco si distinse all’interno dell’irrequieta nobiltà siciliana per la completa fedeltà alla dinastia e all’assolutismo regio. Deputato sovrintendente delle strade di Sicilia, la sua fedeltà al re Ferdinando fu premiata nel 1814 con l’incarico di Ministro degli Esteri e nel 1815 come membro della Commissione incaricata di esaminare le trenta linee regie per riformare la Costituzione siciliana del 1812. Nel 1822 il principe fu nominato luogotenente generale di Sicilia e consigliere di Stato nel 1831. Nel 1832 ministro di Stato. Pietro Lucchesi Palli sposò Beatrice Maria di Borbone, principessa di Parma, figlia di Roberto I e della principessa Maria Pia, delle due Sicilie.
Alliata: Originaria di Pisa, i membri di questa nobile famiglia ricoprirono numerosi incarichi pubblici nella città toscana. Sarà nel quattordicesimo secolo che Filippo Alliata si trasferì in Sicilia, aprendo una fiorente attività mercantile e di banchiere. Legati alla monarchia spagnola, ottennero in concessione il feudo baronale di Villafranca, nel 1600 elevato a principato. Sotto il periodo borbonico, gli Alliata ottennero da Carlo III, la carica di Corrieri maggiori ereditari del Regno di Sicilia, relativa ai servizi postali dell’isola, carica che mantennero fino al 1838. Dagli Alliata di Villafranca discendono i rami di Pietratagliata, di Montereale, Alliata Cardillo, Alliata di Valguarnera. Sarà proprio dal ramo Valguarnera che discenderà la famosa famiglia di produttori vitivinicoli del celeberrimo “Corvo” , una delle prime aziende vitivinicole esportatrici di Sicilia in Europa e negli Stati Uniti.
Marchese Ugo: Di questa prestigiosa famiglia chi fu maggiormente legato alla casa reale di Borbone fu Pietro Ugo marchese delle Favare, barone di Gattaimo e Foresta vecchia, fu senatore cittadino di Palermo nel 1811, brigadiere generale degli eserciti reali delle due Sicilie, gentiluomo di Camera, cavaliere degli ordini di San Gennaro, di San Ferdinando, di Malta e dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio. Nel 1820 divenne direttore generale della polizia in Sicilia con Ferdinando Primo di Borbone, diventando poi luogotenente generale del Regno di Sicilia nel 1824 titolo che gli fu confermato sotto il regno di Francesco I.
Naselli: Trasferitasi in Sicilia nel 1298 sotto il regno di Federico III di Sicilia, vi ricoprì molti incarichi e ottenne il principato d’Aragona e Poggioreale e il marchesato di Gibellina. Tra i membri di questa famiglia che si sono distinti sotto il periodo borbonico, ricordiamo Diego Naselli D’Aragona e il padre Baldassarre, capitano di giustizia a Palermo e nobiluomo di Camera di Carlo di Borbone, oltre a maggiordomo maggiore della regina Maria Amalia. Baldassarre Naselli, fu nominato Consigliere di Stato e nel 1748 presidente del Supremo Consiglio di Sicilia. Il figlio Diego nel 1790 assunse al grado di tenente generale, nel 1786 fu insignito del titolo di cavaliere costantiniano e successivamente di quello di San Ferdinando. Nel 1789 Diego Naselli accompagnò il cardinale Fabrizio Ruffo nell’opera di riconquista dell’Italia meridionale. Nel 1820, Diego Naselli diventa luogotenente generale di Sicilia.
Citiamo appena i Pignatelli Aragona, perché considerata più legata a Napoli che alla Sicilia. Una delle più nobili famiglie del meridione d’Italia, Tra i suoi esponenti non possiamo ricordare Papa Innocenzo XII, nonché numerosi cardinali, vicerè e un santo: Giuseppe Pignatelli di Fuentes.
Paternò: Una delle quattro famiglie siciliane di nobiltà millenaria, ha origine dal principe Roberto d’Embrun, membro della casa sovrana di Barcellona e Provenza che nel 1060 giunse in Sicilia con il re Ruggero, espugnò il castello di Paternò e ne assunse nome e signoria. Nel 1161, Costantno Paternò conte di Butera, sposò Matilde Avenel figlia del conte di Avellino e nipote di Ruggero Primo d’Altavilla. I membri della casa dei Paternò furono insigniti di onori e titoli e delle più antiche cariche dell’antica cavalleria, quali il Cingolo militare e lo Sperone d’oro. I Paternò sono stati vicerè, vicari generali del Regno, Presidenti del Regno, Cardinali e illustri uomini politici. Ricordata dal Mugnos fra le famiglie di origine reale, i Paternò, Pari di Sicilia fin dall’origine della loro storia si impadronirono del governo di Catania e della Masta Nobile. Ai primi dell’ottocento la famiglia Paternò poteva contare su cinque seggi ereditari nel Parlamento siciliano. Ai Paternò, riportiamo i rami dei duchi di Carcaci, dei marchesi di San Giuliano e dei principi di Biscari.
Un legame particolare, che vede a tratti nei secoli i rami della famiglia intrecciarsi è quello che vi è tra i Paternò e una delle famiglie che hanno fatto la storia di Sicilia: i Moncada.
La famiglia Moncada è una famiglia di origine catalana. Vede il suo capostipite in Guglielmo Raimondo secondo di Moncada, figlio di Raimondo, siniscalco di Catalogna e marito di Costanza d’Aragona, signore di Antona, Albalate, Decinca, Mequinenza, Seros e Soses. Fedeli alla casa reale, i Moncada parteciparono attivamente alla reconquista (cacciata dei musulmani dal territorio iberico) e i suoi membri svolsero un ruolo politico di primo piano nell’accrescimento dell’impero spagnolo, anche dopo l’insediamento al trono degli Asburgo.
Il ramo siciliano viene portato da Guglielmo Raimondo di Moncada, figlio di Pietro, giunto nell’isola a servizio di Federico III d’Aragona. Sotto la dinastia aragonese la famiglia Moncada crebbe in potenza e prestigio, acquisendo il possesso di Malta e Gozo e le terre di Agesta, Ferla, Melilli e Sortino. Sarà il conte di Agosta ad unirsi in matrimonio con Margherita Sclafani, figlia di Matteo, conte di Adernò, da cui nacque Matteo Moncada Sclafani, da cui discendono in linea diretta, Guglielmo Raimondo III e Matteo conte di Agosta e Caltanissetta. Sarà questo un periodo di grande influenza della famiglia data l’intima relazione con la casa reale d’Aragona. Il ramo di Adernò e il ramo di Caltanissetta costituirono due discendenze che diedero alla Sicilia, vicerè, presidenti e capitani generali del Regno di Sicilia. Nel 1479 con la morte di Antonio Moncada figlio di Matteo II si estinse la linea maschile dei conti di Caltanissetta che confluì nel ramo di Adernò attraverso il matrimonio dell’unica figlia ed erede Contisella con Guglielmo Moncada Ventimiglia. Dal tronco dei conti di Adernò, discendono i rami pincipali di Paternò, Calvaruso, Monforte e Larderia. Con l'estinzione del ramo dei principi di Paternò, il titolo nel 1747 passò ai duchi di San Giovanni e conti di Cammarata. Dal 1812 con l’istituione del Parlamento siciliano al ramo Moncada furono assegnati due seggi ereditari alla Camera dei Pari, riservati al principe di Paternò e al principe di Monforte. Tra i personaggi illustri nel periodo borbonico, abbiamo Giovanni Luigi, principe di Paternò, capitano giustiziere di Palermo e gentiluomo di Camera di Ferdinando IV di Borbone, presiedette la Giunta di Governo durante la rivoluzione del 1820.
Lanza di Trabia: Una delle famiglie più rappresentative della nobiltà siciliana, che secondo alcuni araldisti discenderebbe dai duchi di Baviera. Il cognome originario è quello di Lancia, che testimonia l’origine germanica, la cui principale prova sarebbe rappresentata da un privilegio di Roberto il Guiscardo nel 1080. Il nome Lanza venne dato a Manfredi I e deve questo suo cognome allo stato di lancifero, ossia “Capitano della grande lancia” dell’imperatore Federico Barbarossa. In Sicilia tutto ebbe inizio con Bonifacio conte di Agliano, figlio di Corrado I e fratello di Manfredi. Detto nobiluomo ebbe 4 figlie da Costanza Maletta, famosa la figlia Bianca Lancia moglie di Federico II di Svevia e Galvano che fu giustiziato con Corradino di Svevia. Dal titolo originario di duchi di Brolo, nei secoli, i Lanza vennero investiti di altri prestigiosi titoli, quali principi di Trabia, principi di Santo Stefano di Mistretta, principi di Butera, principi di Pietraperzia, principi di Scalea, principi di Scordia, principi di Catena, di Campofiorito, duca di Camastra, duca di Santa Lucia, duca di Branciforte ecc. Nel 1600 con Ottavio Lanza, Trabia passa a principato. Sarà Giuseppe Lanza, duca di Camastra a dare nuovo vigore e prestigio alla famiglia essendosi distinto come mentore della ricostruzione di Catania e della Val di Noto dopo il terremoto del 1693. Si deve a questo principe ed alla sua opera se oggi possiamo ammirare i capolavori architettonici barocchi di una delle più belle città siciliane: Noto. Sotto la Casa D’Asburgo, i Lanza divennero la prima casata di Sicilia, quando Ignazio diventa consigliere aulico di Stato dell’imperatore Carlo VI, accostando la carica di capitano giustiziere di Palermo nel 1717 e di pretore nel 1737. All’arrivo di Carlo III di Borbone, i Lanza di Trabia, furono tra le famiglie reggenti dell’isola. Giuseppe Lanza, principe di Trabia, archeologo e collezionista, diede grande impulso alla ricerca storica e archeologica. Gentiluomo di Camera dei re di Napoli e di Sicilia e cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, ministro degli affari ecclesiastici, si unì in matrimonio con Stefania Branciforte principessa di Butera, accrescendo il prestigio della famiglia. Della stessa famiglia, a seguito di successioni e suddivisioni in rami collaterali si arriva al barone Michele Lanza, barone di Malaspina, dei duchi di Brolo, dei baroni di Longi, di Trapani, di Sciacca e Mazara, che nel 1751, divenne senatore, sindaco e Procuratore generale di Palermo, Maestro Razionale dei patrizi di Palermo, membro della Confraternita dei Bianchi e Governatore del Pio Monte di Pietà e dell’Operaria di Navarro. Da questo ramo discende Ferdinando Lanza dei duchi di Brolo, che tanti servigi ha reso alla casa di Borbone: colonnello del Reale esercito delle Due Sicilie, comandante della Val Demone, cavaliere di diritto del Reale Militare Ordine di San Giorgio della Riunione, medaglia d’oro al valore militare, nel 1799 si trasferì a Napoli e diede vita al ramo napoletano dei Lanza di Sicilia. Il ramo dei Lanza di Scalea, viene ricordato per il loro appoggio alla causa unitaria. Sotto il periodo borbonico rientravano tra le grandi famiglie delle istituzioni siciliane e della città di Palermo, e tali continueranno ad essere per tutto il periodo di governo della casa reale di Borbone.
Lucia Migliaccio Grifeo moglie morganatica di re Ferdinando IV di Borbone.
Lucia nacque a Siracusa il 18 Gennaio 1770 dal Duca di Floridia Vincenzo e dalla Marchesa del Casale Dorotea Borgia Rau; maggiorenti di Siracusa.
I Migliaccio provenivano da Firenze ed erano attestati in Sicilia sin dal XIV secolo.
Di straordinaria e precoce bellezza, appena undicenne, il 19 Aprile 1781 a Palermo, fu data in moglie al Duca di Ciminna Benedetto Grifeo del Bosco, primogenito venticinquenne (essendo nato a Palermo il 17 Novembre 1755) del Principe di Partanna.
Il Principe di Partanna possedeva quel Casato dai tempi di Re Ruggero (come attestavano autentici documenti) che per ricchezze e nobiltà, non aveva uguali in tutta la Sicilia.
Egli fu decorato dell’insigne fascia del Regio Ordine di San Gennaro il 4 Novembre 1802.
La posizione sociale di Benedetto III ( Principe di Partanna, Deputato del Regno, Gentiluomo di Camera e Consigliere di Stato di Sua Maestà) diede a Lucia l’opportunità di frequentare l’Alta Società di Palermo, compresa la Corte Reale durante i lunghi periodi che Ferdinando IV trascorse in Sicilia, e di farsi apprezzare per le sue doti intellettuali, artistiche, e per la sua sfolgorante bellezza.
Lucia e Benedetto vissero d’amore e d’accordo (come attestano le numerose lettere che si scambiarono) fino alla morte di lui a soli cinquantasei anni, avvenuta a Palermo il 28 Marzo 1812.
Nel Settembre 1814 morì anche Maria Carolina moglie di Ferdinando di Borbone. Volendosi risposare, il Re napoletano rivolse le sue attenzioni a quella Principessa di cui aveva apprezzato i “vasti talenti” nei frequenti “incontri” a Corte.
Due anni dopo, a quarantaquattro anni nel 1814 Lucia sposò morganaticamente ( “… riceveva l’onore del talamo e la primazia fra tutte le Dame suddite, ma non l’onore del Trono”. Cit. S. Mendolia) Re Ferdinando IV di Borbone, di anni sessantatre.
Il matrimonio fu celebrato in una privatissima cerimonia nella Cappella Palatina a Palermo.
L’unico a opporsi alle nozze era stato il Principe Francesco (figlio di Ferdinando IV) che aveva tentato di dissuadere il Re, ricordando i tanti pettegolezzi che giravano intorno a Lucia.
La nuova consorte del Re di Napoli si rivelò l’opposto della predecessora Maria Carolina: autoritaria e opprimente questa, docile e conciliante la “floridiana”.
Era finito per il Re l’incubo dell’inflessibilità della moglie austriaca, i suoi continui sospetti, l’acida gelosia, la perpetua ingerenza negli affari di Stato; una svolta decisiva per il Sovrano da quel tipo di politica intrigante e soffocante a cui l’aveva incatenato Carolina.
Compiacendosi per questa ventata di libertà, andava ripetendo: “ Che bella cosa! – Ho una moglie che mi lascia fare quello che voglio, e un Ministro che mi lascia poco da fare”.
Nel Giugno 1815 dopo dieci anni di dominazione francese Re Ferdinando tornò a Napoli con la nuova moglie. Lucia fu molto amata dai napoletani, e venne ricordata da tutti come la “ Regina Lucia”.
Ferdinando si rivolgeva alla moglie chiamandola col vezzeggiativo di Lùzia.
Il Re amava intensamente la sua sposa, e subito dopo aver riguadagnato il Trono, come pegno d’amore, le intestò Palazzo Partanna con un grande complesso al Vomero denominato “La Floridiana”,
La nuova Regina si era data un solo obiettivo: assicurare un degno futuro alla numerosa prole avuta da Benedetto Grifeo; fu considerata sempre un’intrusa per i figli del Re, più di tutti per il Principe Francesco che la ignorò apertamente.
Fu un matrimonio felice e per quanto morganatico, cosa che non faceva di Lucia una Regina, come tale fu trattata dalla Corte in virtù della sua signorilità, della sua discrezione, della sua gentilezza. Non in ultimo, della sua decantata bellezza.
La morte ghermì Ferdinando la mattina del 4 Gennaio 1825.
Dopo lunga e penosa malattia , dopo circa un anno e mezzo dopo la morte del sovrano, S.E. la Signora Duchessa di Floridia, si spegne a 56 anni.
Il 5 Maggio i funerali vennero celebrati nella Chiesa di San Ferdinando, alla cui Confraternita Lucia era iscritta; ed ivi sepolta per espressa volontà di Ferdinando che aveva vietato in questo luogo santo altre tumulazioni, fatta eccezione per Lucia.
Mancava Francesco I che evitò anche di farsi rappresentare, né presenziò alcuno dei membri della famiglia Reale.
Una Regina senza corona. Ma con dignità regale aveva saputo mostrarsi degna del grande onore che la sorte le aveva riservato.
I Natoli sono un’antica famiglia della nobiltà feudale siciliana di origine provenzale. Ci vuole il passaggio dalla Francia a Napoli con Giovanni di Natoli, regio cavaliere, al seguito del suo familiare il Conte di Provenza Carlo I d’Angiò, fratello del Re di Francia, dove arrivò con gli angioini e tre dei suoi cinque figli cavalieri, nel 1266, con il titolo di reali Milites.
Nel 1343 la famiglia passò dal Regno di Napoli al Regno di Sicilia, a Messina, con Antonino Natoli (Antoninus), al seguito della regina Eleonora d'Angiò, moglie del re di Sicilia Federico III di Aragona che gli conferirà diversi feudi.
Discendente di Antonio Natoli fu Giovanni Matteo Natoli, nobile messinese a cui venne concesso il cingolo Militare con il titolo di Cavaliere, nominato da re Carlo V, Cavaliere del Sacro Romano Impero, a proprie spese il 4 maggio 1523 armò due galee per fronteggiare nel mar Adriatico, i nemici che attaccavano il Vaticano. Partecipò a tutte le battaglie del suo secolo, da Tunisi a La Goletta, morendo a S.Angelo. Suo figlio fu Antonino Natoli, Castellano della città di Patti.
Un Antonino Natoli, nato nel 1539 a Messina, ma che visse a lungo a Patti, a ventinove anni di età entrò nel convento dei Padri Osservanti nella terra della Ficasia, e divenne appartenente al terziario francescano, riformato, lasciò ogni avere e il suo stemma, cambiò il suo nome in Antonino da Piraino detto "Antonino da Patti", pubblicò il “Viridarium concionatorum", e altre importanti opere, tra cui "La via sicura al cielo". Fu Visitatore Apostolico nel 1596 su mandato diretto di Papa Giulio III, da cui fu proclamato Venerabile e sepolto a Roma.
Giovanni Forti Natoli, barone di S.Bartolomeo, figlio del Conte Blasco Natoli Lanza, comprò il castello di Sperlinga e Re Filippo IV gli concesse nel 1622 per sé e per i suoi discendenti, il titolo di principe, e il privilegio di "potervi fabbricare terre.
Giovanni Natoli Lanza Ruffo, nominato da re Carlo III di Borbone primo Duca di Archirafi, edificò nel 1762 la Torre di Archirafi, nel luogo dove già sorgeva una antichissima e famosa torre merlata difensiva, andata distrutta da un maremoto intorno al 1853.
Il 21 ottobre 1714 nacque un Giovanni Natoli, Principe di Sperlinga, che fu noto letterato, e presidente dell'Accademia dei "Peloritani pericolanti" di Messina, governatore di diverse confraternite della Chiesa, riconosciute dal Papa, negli anni 1739, 45,74, 60, 61, 62, fu Cavaliere del Sovrano militare ordine di Malta.
Fu solo l'intuito, e i controlli di Francesco Natoli, a salvare la città di Messina dalla peste nel 1720 scacciando, contro gli ordini di approdo della capitaneria, la nave che appestò poi la Provenza e tutta Marsiglia, comandò inoltre le truppe urbane di Messina nel 1734, ottenendo numerosi riconoscimenti.
Luigi Natoli, nacque a Patti nel 1799, divenne teologo e Vicario Generale della Diocesi di Patti e fu nominato arcivescovo di Messina, su proposta diretta di Re Ferdinando II delle Due Sicilie. L'arcivescovo Natoli fu poi eletto, da Papa Pio IX, Vescovo di Caltagirone il 15 febbraio 1858, e fu membro del Concilio Vaticano I. Il fratello dell'Arcivescovo fu Salvatore Natoli, commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e sindaco di Messina nel 1859.
Giuseppe Natoli, giurista e patriota, fu ministro dell'Interno, dell'Agricoltura, Industria e Artigianato e della Pubblica Istruzione, più volte tra il 1861 e il 1865. Fu anche sindaco di Messina dal 1865 al 1867. Giuseppe Natoli nel 1853 partecipò alla fondazione della prima Banca nazionale e ne sottoscrisse il capitale, finanziò inoltre il Cantiere navale fratelli Orlando in Liguria. Il figlio Giacomo Natoli fu sindaco di Messina nel 1886, 1887, e dal 1893 al 1895.A Palermo Luigi Natoli, storico e romanziere, e il figlio Aurelio, deputato alla Costituente.
Letizia Passarello
Natoli Rivas