Cecilia cantava in cuor suo il suo canto d’amore, pur se nell’aria risuonavano i canti del mondo. Oggi siamo al paradosso che per uscire dal mondo dobbiamo rientrarci più in profondità, cercando una nostra dimensione spirituale che non sia compromessa con gli accomodamenti pastorali e liturgici che non servono il culto ufficiale della Chiesa.
Santa Cecilia, martire romana del terzo secolo, è una santa significativa nella Chiesa Cattolica, ma lo è specialmente per i musicisti, di cui è patrona. Durante la festa per il matrimonio a cui fu costretta con Valeriano, mentre risuonavano gli inni nuziali pagani Cecilia cantava in cuore suo un inno al suo unico Sposo, Colui che ella aveva scelto, Gesù Cristo.
A Valeriano disse che non sarebbe stata sua e che un angelo la proteggeva. Lo sposo chiese di vedere questo angelo e Cecilia gli disse che lo avrebbe potuto vedere solo dopo battezzato. E lo vide, infatti, dopo il Battesimo, con la grazia speciale che questo gli aveva portato.
Infatti il cristiano non è semplicemente colui che partecipa ad alcune cerimonie in alcuni momenti della sua vita, ma colui che sa vedere con occhi nuovi tutta la realtà, una realtà che è quasi trasfigurata alla luce della rivelazione.
Cecilia cantava un canto d’amore mentre nell’aria c’erano i canti pagani. Oggi siamo a volte costretti ad uscire dalle nostre chiese dove risuonano musiche pagane per poter cantare il canto d’amore nel chiuso delle nostre stanze. E non che la Chiesa non ha mai ammonito verso questi abusi nella musica liturgica. Si pensi che nel XVIII e XIX secolo imperava lo stile operistico anche nella musica di Chiesa, e i Papi emisero o fecero emettere un numero elevato di documenti per porre fine a quell’abuso. Ma la lotta tra lecito e illecito muore e rinasce ad ogni stagione.
Una parola veramente importante la ebbe a dire San Pio X con il suo Motu Proprio del 22 novembre 1903, esattamente 115 anni fa. Questo codice giuridico della musica sacra, ripreso in molti punti dal Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium e riaffermato anche nell’insegnamento dei Papi successivi, come ad esempio Pio XII, dava delle indicazioni pratiche per l’uso della musica nella liturgia. Parlando degli abusi liturgici il Papa diceva: “Oggi l’attenzione Nostra si rivolge ad uno dei più comuni, dei più difficili a sradicare e che talvolta si deve deplorare anche là dove ogni altra cosa è degna del massimo encomio per la bellezza e sontuosità del tempio, per lo splendore e per l’ordine accurato delle cerimonie, per la frequenza del clero, per la gravità e per la pietà dei ministri che celebrano. Tale è l’abuso nelle cose del canto e della musica sacra. Ed invero, sia per la natura di quest’arte per sé medesima fluttuante e variabile, sia per la successiva alterazione del gusto e delle abitudini lungo il correr dei tempi, sia per funesto influsso che sull’arte sacra esercita l’arte profana e teatrale, sia pel piacere che la musica direttamente produce e che non sempre torna facile contenere nei giusti termini, sia infine per i molti pregiudizi che in tale materia di leggeri si insinuano e si mantengono poi tenacemente anche presso persone autorevoli e pie, v’ha una continua tendenza a deviare dalla retta norma, stabilita dal fine, per cui l’arte è ammessa al servigio del culto, ed espressa assai chiaramente nei canoni ecclesiastici, nelle Ordinazioni dei Concilii generali e provinciali, nelle prescrizioni a più riprese emanate dalle Sacre Congregazioni romane e dai Sommi Pontefici Nostri Predecessori”. Se venisse sostituita la musica teatrale con quella commerciale, questo passaggio non poteva anche essere scritto oggi?
Ma certamente, bisogna fare attenzione al fatto che oggi ci sono anche fattori nuovi che minacciano la santità della musica nella liturgia, come la confusione fra canto liturgico e canto popolare, il diffuso e devastante sentimentalismo, il fondamentale antropocentrismo insito in tanta pastorale anche liturgica, il disprezzo per le professionalità musicali e per la tradizione. E il fatto, che non va mai dimenticato, che la Chiesa cattolica oggi non è motore di svilluppo, come conseguenza della sua azione, anche della cultura, ma è divenuta, culturalmente, una ruota di scorta della cultura e delle narrative dominanti.
Cecilia cantava in cuor suo il suo canto d’amore, pur se nell’aria risuonavano i canti del mondo. Oggi siamo al paradosso che per uscire dal mondo dobbiamo rientrarci più in profondità, cercando una nostra dimensione spirituale che non sia compromessa con gli accomodamenti pastorali e liturgici che non servono il culto ufficiale della Chiesa, ma si servono dello stesso per affermare idee e direttive che con la Chiesa non hanno nulla a che fare. Che anche il nostro cuore possa essere, come quello di Cecilia, non confuso, che pur attraverso le difficoltà dell’ora presente esso non si perda mai.
Di Aurelio Porfiri, amico dell'Associazione
Fonte: http://www.lanuovabq.it/it/cecilia-un-canto-nel-cuore-che-risuona-nel-frastuono