In una bella chiesa nel cuore di Chiaia, lontana dai soliti giri turistici, Napoli nasconde uno dei suoi tesori più grandi, caro ai napoletani quanto a tutti coloro che decidono di visitarla. Entrando a sinistra, nella Cappella dedicata alla Buona Pastora, un semplice sarcofago di marmo racchiude le ultime spoglie mortali di Maria Clotilde di Borbone, Regina di Sardegna.
Maria Clotilde Adelaide Saveria di Borbone nacque a Versailles il 23 settembre 1759 figlia del Delfino Luigi, a sua volta figlio ed erede di Luigi XV, e di Maria Giuseppina di Sassonia. Fin dalla nascita, Clotilde venne affidata alle cure della contessa di Marsan, una delle più importanti dame del Regno, vedova di Gaston-Jean-Baptiste di Lorena, conte di Marsan, la quale avrà molta influenza sullo sviluppo della personalità della piccola principessa, risultando addirittura rigorosa dal punto di vista morale e religioso, al fine di preservare les enfants dalla dissolutezza dei costumi che regnavano a corte.
Tutti i resoconti concordano sul carattere mite e pio della giovane principessina e sulla sua forte religiosità, è infatti lecito presume che se avesse potuto scegliere avrebbe di gran lunga preferito ritirarsi in convento al grande matrimonio dinastico che, invece, l’avrebbe vista protagonista. Difatti, quando sua zia, Madame Louise, abbandonò la corte per il convento, anche la giovane Clotilde manifestò il desiderio di imitarla, ma la Divina Provvidenza, però, aveva in serbo per lei ben altri progetti.
Nel 1774 suo fratello Luigi successe al nonno sul trono di Francia come Luigi XVI e l’anno successivo vennero combinate le nozze della principessa con Carlo Emanuele di Savoia, Principe del Piemonte ed erede al trono di Sardegna. La coppia, pur essendo stata combinata per meri interessi politici, si dimostrò contro ogni previsione particolarmente affiatata, trovando nella Fede un duraturo punto di interesse comune.
Trasferitasi, quindi, a Torino, la vita della giovane Principessa di Piemonte non fu però allietata dalla gioia di avere figli e così, si votò in maniera ancora più forte alla preghiera. Assieme al marito furono assidui frequentatori delle varie chiese della città e, soprattutto del Santuario della Consolata uno dei più antichi e famosi luoghi di culto del Regno.
Nel 1789 iniziò per l’allora Principessa di Piemonte quella personale via crucis che, uno dopo l’altro, l’avrebbe portata ad assistere al disgregarsi del mondo in cui era cresciuta e all’assassinio di gran parte dei suoi familiari, ad iniziare nel gennaio 1793 con la salita al patibolo di suo fratello Luigi XVI, seguito dalla cognata Maria Antonietta e, in ultimo, dall’amata sorella Elisabetta. Si votò così ancora maggiormente alla religione e ottenne dal Re suo suocero il permesso di abbandonare gli abiti di corte in favore dell’abito votivo c.d. “della Consolata”, composto da un semplice abito di lana di cotone azzurrino che non avrebbe più abbandonato nemmeno nel 1796 quando, alla morte di Vittorio Emanuele III, suo marito sarebbe asceso al trono con il nome di Carlo Emanuele IV.
La furia della Rivoluzione giunse ben presto anche a Torino e nel 1798 Carlo Emanuele IV fu costretto a cedere tutti i suoi domini peninsulari e a rifugiarsi con la corte a Cagliari mentre, assieme alla moglie, aveva fatto professione di vita religiosa abbracciando la regola del Terzo Ordine Domenico. Iniziava così per Clotilde quell’esilio che negli ultimi anni l’avrebbe vista peregrina prima negli antichi territori sardi, e poi per l’Italia nella vana speranza di raccogliere appoggi per recuperare il proprio Stato.
Visse, dunque, tra Firenze, Roma, Frascati, Caserta è, infine fu a Napoli dove il Re e la Regina in Sardegna, con al seguito una minuscola corte, presero alloggio in una modesta locanda nel borgo marinaro di Santa Lucia. Nella città partenopea la Regina prese a frequentare la chiesa di Santa Caterina, retta dal Terzo Ordine Regolare di San Francesco e il superiore del convento divenne suo confessore e direttore spirituale.
Durante l’esilio contrasse una febbre tifoidea e, dopo lunghe sofferenze, si spense a Napoli il 7 marzo 1802 a soli quarantadue anni. Per suo volere vennero rifiutati gli onori militari e, invece venne tumulata con un a semplice religiosa, vestita ancora dello stesso abito votivo della Consolata che mai aveva abbandonato. Carlo Emanuele, fu prostrato dal dolore per la morte della moglie, e decise così di lasciare la città e ritirarsi a Roma, dove, accolto tra i gesuiti della chiesa di Sant’Andrea al Quirinale, si spense nel 1819.
Fu egli stesso a scegliere l’epitaffio che avrebbe ricordato la consorte e che ancora oggi si legge inciso nel marmo che sovrasta il sarcofago. “D.O.M. VENERABILIS MARIA ADELAIDE CLOTILDE XAVERIA BORBONIA SARDINIAE REGINA CUIUS SANCTISSIMA PIETAS INGENII DEXTERITAS CONSILII PROBITAS MORUM SOAVITAS ULTRA VOTUM STETERUNT ALIORUM AMANTIOR QUAM SUI EMENSIS UTRISQUE FORTUNAE SPATIIS ADVENTATI FATO INIMITABILI ANIMI ROBORE OBVIAM PROCESSIT REGNO ITALISQUE ORIS CHRISTIANARUM VIRTUTUM SPECIMEN EXTRA ETIAM ADMIRATIONE PRAEBENS PRAEPROPERO MORBO RAPTA SUIS OMNIBUS EXANIMATIS AETERNUM VICTURA PLACIDISSIME OBIIT NEAPOLI NONIS MARTII ANNO MDCCCII REX CAROLUS EMANUEL IV PIISSIMUS CONIUX LUCTU CONCISUS DIMIDIO SUI CURARUM LEVAMINE ORBATUS AD UXORIAS CINERES HIC QUIESCENTES”, queste le parole con cui l’inconsolabile marito decise di ricordare ai posteri le virtù della Regina. Dirimpetto al sarcofago della Venerabile si trova, poi, una piccola nicchia che custodisce un’urna marmorea con il cuore di Maria Teresa di Savoia, Duchessa d’Artois, moglie del futuro Carlo X di Francia e sorella di Carlo Emanuele, dunque, per ben due volte cognata di Maria Clotilde. Costei era a tal punto legata alla cognata che dispose tra le ultime volontà che il suo cuore, una volta morta, fosse racchiuso in un’urna e posto presso la tomba della cognata a Napoli.
Intanto, già nel 1808 venne ufficialmente iniziata la causa di Beatificazione con il riconoscimento ad opera di Papa Pio VII del titolo di “Venerabile” il 10 aprile 1808. In seguito il processo di beatificazione andò avanti tra alterne vicende fino a che, nel 1854, fu interrotto per gli ovvi motivi politici che erano riconducibili al ruolo giocato da Casa Savoia nell’unità d’Italia.
Anche i piemontesi, infatti, come ben prima di loro gli stessi napoletani, cominciarono a venerare Maria Clotilde come santa, chiamandola “il nostro angelo” e lodandone le virtù sante.
La Tomba della Venerabile fu restaurata nel 1933 per volontà dell’allora Principe di Piemonte Umberto di Savoia, e ancora oggi la Chiesa di Santa Caterina a Chiaia è retta dai padri del Terzo Ordine regolare che, guidati dal M.R.P. Don Calogero Favata, custodiscono le reliquie e il culto della Venerabile. Dopo oltre cento anni di relativa “stasi” la causa di Beatificazione venne ripresa nel 1972 e, dieci anni dopo, Papa Giovanni Paolo II promulgò il decreto sull’eroicità delle sue virtù, aprendo quindi definitivamente la strada verso la beatificazione della Regina. Grande merito va riconosciuto, quindi, ai padri del Terzo Ordine Regolare e altro importante merito all’opera di propulsione dei tanti fedeli e devoti al culto della Regina.
Demetrio Baffa Trasci Amalfitani