Il patriarca greco-ortodosso Atenagora dichiarava: ”Giovanni è all’origine della nostra più alta spiritualità. Come lui, i ‘silenziosi’ conoscono quel misterioso scambio dei cuori, invocano la presenza di Giovanni, e il loro cuore s’infiamma”.
Origene, affermò che “Il fiore di tutta la Sacra Scrittura è il Vangelo e il fiore del Vangelo è il Vangelo trasmesso a noi da Giovanni, il cui senso profondo e riposto nessuno potrà mai pienamente cogliere”.
In questo articolo cercheremo cari lettori di scoprire chi fù realmente San Giovanni apostolo, scopriremo se fosse veramente lui l’apostolo che Gesù amava tanto e se veramente fù lui l’autore del libro dell’Apocalisse per poi concludere con che cosa scrisse IL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI sull’apostolo Giovanni;
Cerchiamo inizialmente di tracciare la biografia di Giovanni:
San Paolo lo colloca, tra le “colonne” della Chiesa madre di Gerusalemme, insieme con Pietro e Giacomo “fratello del Signore”. In sintesi possiamo dire che Giovanni costituisce una delle figure di più alto spicco all’interno del collegio apostolico dei Dodici ma analizziamo chi era realmente:
Suo padre era Zebedeo, suo fratello l’apostolo Giacomo; di professione era pescatore, o forse membro di una società familiare di pesca a cui probabilmente collaboravano anche altri due fratelli, gli apostoli Simone Pietro e Andrea. La sua vocazione era appunto avvenuta nell’ambiente di lavoro e da quel momento Giovanni era stato cooptato da Gesù nel gruppo ristretto dei tre testimoni privilegiati comprendente anche Pietro e Giacomo. Sono loro ad assistere in esclusiva alla risurrezione della figlia di Giairo, alla trasfigurazione, alla preghiera del Getsemani.
Cristo imporrà anche un soprannome ai due fratelli, Giovanni e Giacomo, Boanerghes, “figli del tuono”, di solito collegato al loro carattere veemente ma forse da considerare in senso positivo, essendo il tuono nella Bibbia simbolo della voce potente di Dio: essi, allora, avrebbero il compito di attestare con forza e autorità la parola divina. Giovanni fu unico tra gli apostoli che rimase vicino a Gesù sotto la croce, in pratica rischio di morire pur di non abbandonare il maestro.
Giovanni riappare negli Atti degli Apostoli, spesso in connessione con Pietro, e con la missione di evangelizzatore.
Ma fu veramente Giovanni apostolo che Gesù amava tanto?
Una considerazione a parte merita la figura misteriosa del “discepolo che Gesù amava”: essa entra in scena nel quarto Vangelo solo alla fine, quando sta per compiersi l’“ora” della passione, morte e glorificazione pasquale di Cristo. È convinzione tradizionale che sia un autoritratto dello stesso apostolo Giovanni. C’è, però, una difficoltà: questo “discepolo amato”, chiamato anche “l’altro discepolo” (rispetto a Pietro), stando allo stesso racconto evangelico, “era noto al sommo sacerdote”. Come era possibile che questo accadesse a un pescatore della Galilea, seppure partecipe di un’azienda ittica propria? Tuttavia altri tentativi di identificazione risultano sostanzialmente impraticabili. Per questo si è ancora fermi alla linea tradizionale che cerca di sovrapporre il volto di Giovanni a quello del “discepolo amato” che “aveva riposato sul petto di Gesù”. Forse si potrebbe immaginare una puntualizzazione ulteriore facendo riferimento alla complessa storia della redazione del quarto Vangelo.
Soffermiamoci, allora, su questo scritto assegnato a Giovanni e contrassegnato dal simbolo dell’aquila, sulla base dell’attribuzione tradizionale ai quattro evangelisti dei quattro esseri viventi dell’Apocalisse. Composto di 15.416 parole greche e di 879 versetti (il terzo per lunghezza dopo Luca e Matteo), questo Vangelo si caratterizza per un linguaggio teologico molto raffinato, tanto da aver meritato la definizione di “Vangelo spirituale”. Si usano, infatti, nelle sue pagine, termini con accezioni specifiche. Così, “verità” è la rivelazione che Cristo offre; “segni” e “opere” sono i miracoli (e il quarto evangelista ne seleziona sette molto originali ed emblematici); l’“ora” per eccellenza è, come si è detto, la morte e la risurrezione di Cristo, definite anche come “esaltazione” e “glorificazione”. Fitto è pure il vocabolario processuale usato per descrivere lo scontro tra Cristo e il male: “testimonianza, giustizia, giudizio, Paraclito (cioè difensore)” e così via. Termini cari a Giovanni sono anche “amore, amare, conoscere, vita, mondo, dimorare-rimanere, luce, Io sono (titolo divino biblico attribuito a Cristo)”. Sembra, quindi, che questa opera sia frutto di un’elaborazione accurata, posteriore a quella degli altri Vangeli, da collocare sullo scorcio del I secolo, forse nell’area dell’Asia Minore, dove appunto erano fiorite comunità che si riferivano alla predicazione dell’apostolo Giovanni.
Gli studiosi hanno cercato di approfondire la genesi dello scritto, proponendo ricostruzioni molto complesse. Certo è che alla base del quarto Vangelo si ha la testimonianza dell’apostolo stesso che aveva condiviso la vita pubblica di Gesù da un angolo di visuale privilegiato. È lui a dare il via, attraverso le sue parole, a uno scritto che forse ebbe l’aiuto di un redattore qualificato che compose il Vangelo sulla base di quella testimonianza orale, ma anche con la sua esperienza, la sua preparazione spirituale e culturale, la sua abilità letteraria. Per alcuni studiosi potrebbe essere costui il “discepolo amato”, associato a Giovanni. Comunque stiano le cose, è indubbio che il quarto Vangelo rivela un’opera di formazione progressiva, tant’è vero che ci incontriamo con due finali diversi, segno almeno di un’ulteriore “riedizione”. L’insieme, però, del Vangelo rivela una sua compattezza e un’identità teologica ben netta. Per questo, esso fu particolarmente amato dalla tradizione che esaltava i grandiosi discorsi di Gesù contenuti in quelle pagine; i miracoli, “segni” del mistero profondo di Cristo; la grandiosa narrazione della Passione che vede la croce come il trono della gloria del Redentore; l’indimenticabile e stupendo prologo dove si celebra l’Incarnazione del Verbo; gli incontri di Gesù con personaggi che rappresentano altrettanti modelli di vita, come Nicodemo o la Samaritana; il tema reiterato dell’amore e così via.
Il suo Vangelo rimarrà, comunque, la stella polare della sua presenza nella storia della cristianità che lo festeggerà il 27 dicembre, in connessione col Natale da lui esaltato nella meditazione sull’Incarnazione che affiora nelle sue pagine.
Ma fu veramente San Giovanni l’autore del libro finale della Bibbia ovvero Apocalisse?
La prima cosa che si può notare leggendo il libro di Rivelazione, è che l’autore dice di chiamarsi Giovanni, ma non specifica chiaramente di essere Giovanni il figlio di Zebedeo, Apostolo di Gesù Cristo, oppure un altro Giovanni discepolo o meno dell’Apostolo stesso . Il nome Giovanni (Greco Ioannes; Ebraico Yohanan) era comune fra gli Ebrei del dopo esilio e, di conseguenza, fra i primi Cristiani
Nella Bibbia oltre al Vangelo di Giovanni troviamo tre lettere scritte da san Giovanni Apostolo e l’ultimo libro che è l’Apocalisse ovvero la visione che ebbe Giovanni su quelli che un giorno saranno «cieli nuovi e terra nuova». La mia domanda è questa: ad eccezione del Vangelo che lo scrisse Giovanni discepolo di Gesù, le tre lettere e l’Apocalisse le ha scritte un altro Giovanni che poi è diventato anch’esso discepolo di Gesù oppure c’era una comunità che portava il nome di Giovanni perché nei primi secoli dopo Cristo la chiesa era formata da piccole comunità e ciascuna di essa aveva un nome preciso?
La questione è estremamente complessa. Sappiamo che il suo autore raggiunge, in una notevole familiarità con tutta la tradizione ebraica, una conoscenza tanto vasta e profonda delle Scritture, tale da superare nell’uso concreto lo stesso apostolo Paolo: si sono contate oltre ottocento citazioni dell’Antico Testamento, tratte direttamente dal testo ebraico, contro le duecento circa di Paolo, che usa di norma la tradizione greca.
Va aggiunto comunque, che data la natura dello scritto, un libro di rivelazione (il significato di Apocalisse) in tempi di persecuzione conclamata (come quella avvenuta alla fine del regno di Domiziano: 81 -96) si caratterizza per l’anonimato dell’autore, che si rifà comunque all’autorità dello stesso apostolo.
Quindi il concetto di autore per questi come altri libri biblici, deve distinguere tra lo scrittore vero e proprio, e l’autore in senso ampio, colui cioè che (riprendendo all’origine lo stesso termine, «colui che fa crescere») è alla base di un testo letterario, e in questo caso ispirato.
Lo scrittore di Rivelazione è l’Apostolo Giovanni ma come un uomo intorno ai 55¸60 anni e ancora nel pieno vigore delle sue forze
Il luogo di scrittura e la sua data sono probabilmente Efeso, dopo la morte di Nerone ma prima della distruzione di Gerusalemme ,cioè prima del 70 CE
Tutti gli eventi predetti come imminenti nel libro dell’Apocalisse confluiscono nella distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio.e si adempiono con queste.
l fatto che l'autore si presenti con il nome di Giovanni (senza, tuttavia, identificarsi esplicitamente con l'evangelista) non fornisce una prova certa della sua identità. Un espediente letterario, caratteristico del genere apocalittico, è la pseudoepigrafia: il fatto che l'autore celi il proprio nome dietro quello di un personaggio del passato (anche molto remoto come Enoch) con il quale l'autore si dichiara così in sintonia. Lo stesso meccanismo è avvenuto con il re Salomone ad opera di tre libri della Bibbia (Cantico dei Cantici, Qoelet, Sapienza). Fra il II secolo a.C. e il IV d.C. furono redatte una trentina di opere apocalittiche attribuite a profeti deceduti da secoli come Isaia o Baruc. Verso il 120-130 fu redatta anche un'apocalisse con il nome di Pietro, benché l'apostolo fosse morto da oltre mezzo secolo.
Ireneo, nato e cresciuto a Smirne (una delle sette comunità cui è indirizzata Ap) nel 130, dice nella sua opera Adversus haereses (Contro le eresie), in 5.30.3, che il libro fu scritto verso l’81-96 (alla fine del regno di Domiziano) e lo attribuisce in modo esplicito all’apostolo Giovanni. Papia (inizio 2° secolo) considerava il libro di origine apostolica. Giustino Martire, pure del 2° secolo, scrive: “Anche da noi un uomo di nome Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, in seguito ad una rivelazione da lui avuta ha profetizzato”. Clemente Alessandrino e Tertulliano, della fine del 2° secolo e dell’inizio del 3°, pure confermano che Giovanni ne fu l’autore. Origène, del 3° secolo, afferma: “E che dire di Giovanni, colui che si chinò sul petto di Gesù? Egli ha lasciato un solo Vangelo, . . . scrisse anche l’Apocalisse”.
In effetti, senza adeguato raccoglimento non è possibile avvicinarsi al mistero supremo di Dio e alla sua rivelazione.
Infine concludiamo su cosa scrisse IL PAPA EMERITO BENEDETTO XVI sull’apostolo Giovanni nell’UDIENZA GENERALE aula Paolo VI Mercoledì, 9 agosto 2006
Giovanni, il teologo.
Dio è amore (Deus caritas est); chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16). E’ molto difficile trovare testi del genere in altre religioni. E dunque tali espressioni ci mettono di fronte ad un dato davvero peculiare del cristianesimo.
Per San Giovanni la Fonte stessa dell’amore è Dio, arrivando, , ad affermare che “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16). Giovanni è l'unico autore del Nuovo Testamento a darci quasi una specie di definizione di Dio. Egli dice, ad esempio, che “Dio è Spirito” (Gv 4,24) o che “Dio è luce” (1 Gv 1,5). Qui proclama con folgorante intuizione che “Dio è amore”. Si noti bene: non viene affermato semplicemente che “Dio ama” e tanto meno che “l'amore è Dio”! In altre parole: Giovanni non si limita a descrivere l'agire divino, ma procede fino alle sue radici. Inoltre, non intende attribuire una qualità divina a un amore generico e magari impersonale; non sale dall’amore a Dio, ma si volge direttamente a Dio per definire la sua natura con la dimensione infinita dell'amore. Con ciò Giovanni vuol dire che il costitutivo essenziale di Dio è l’amore e quindi tutta l'attività di Dio nasce dall’amore ed è improntata all'amore: tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore e con amore, anche se non sempre possiamo subito capire che questo è amore, il vero amore…………………
“Il nobile amore di Gesù ci spinge a operare cose grandi e ci incita a desiderare cose sempre più perfette. L'amore vuole stare in alto e non essere trattenuto da nessuna bassezza. L'amore vuole essere libero e disgiunto da ogni affetto mondano... l'amore infatti è nato da Dio, e non può riposare se non in Dio al di là di tutte le cose create. Colui che ama vola, corre e gioisce, è libero, e non è trattenuto da nulla. Dona tutto per tutti e ha tutto in ogni cosa, poiché trova riposo nel Solo grande che è sopra tutte le cose, dal quale scaturisce e proviene ogni bene” (libro III, cap. 5). Quale miglior commento del “comandamento nuovo”, enunciato da Giovanni? Preghiamo il Padre di poterlo vivere, anche se sempre in modo imperfetto, così intensamente da contagiarne quanti incontriamo sul nostro cammino.