Al Chiostro di Campitelli al Teatro di Marcello, vicino alla Chiesa di S. Maria in Portico in Campitelli (realizzata dall'architetto Carlo Rainaldi su commissione di Papa Alessandro VII, per celebrare la fine della pestilenza del 1656 costruendo una nuova, degna sede per un'icona mariana, ritenuta miracolosa, già conservata nella precedente,  piccola chiesa di Santa Maria in Portico),  per i "Concerti del Tempietto", nel contesto del Festival Musicale delle Nazioni, il 25 agosto si  è tenuto "Opera". Concerto con la partecipazione del soprano polacco Dominika Zamara  (attivo membro di "Tota Pulchra") e del pianista e compositore  italiano Stefano Bigoni. 

 Dominika Zamara è un giovane soprano polacco che ha iniziato la sua formazione  con una borsa di studio al Conservatorio statale di Verona nel 2006, laureandosi poi col massimo dei voti all'Università di Musica di Wroclaw nel 2007. Al suo attivo ha una carriera internazionale, con la partecipazione a molti festival e concerti in Europa, USA, Messico, Cina e Corea del Sud; nonché esibizioni alla Mostra del Cinema e alla Biennale di Venezia, al Teatro Olimpico di Vicenza,  al Lincoln Center di Newyork, alla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia del 2016 (alla presenza di Papa Francesco) e alla Sala della Protomoteca in Campidoglio, a Roma, nel 2023 (dove tornerà ad esibirsi a ottobre prossimo). 

Stefano Bigoni è un pianista e compositore formatosi al Conservatorio "Giacomo Puccini" di La Spezia, che ha proseguito poi gli studi al Conservatorio "Alfredo Casella" dell'Aquila, sotto la guida del compositore torinese  Piero Luigi Zangelmi  (1927-2004). Dopo aver vinto  vari concorsi pianistici nazionali e internazionali, nel 1993 ha ottenuto una cattedra di pianoforte nei conservatori italiani (attualmente è titolare al Conservatorio "Francesco Morlacchi" di Perugia), e in seguito ha pubblicato incisioni discografiche  - trasmesse da Radio Classica e  RAI Radio 3 - con un repertorio dal barocco al contemporaneo. 

Due interpreti di alto livello, che hanno intrattenuto il pubblico nella cornice, di forte suggestione, del Chiostro-teatro all'aperto annesso appunto alla Chiesa di S. Maria In in Portico in Campitelli: che finita di edificare, in stile barocco, nel 1661, "riunì" idealmente le due precedenti chiese di  S. Maria in Campitelli e S. Maria in Portico: nella quale, durante le pestilenza scoppiata nel 1656, s'era raccolta gran parte della popolazione romana. 

La peste romana del 1656/57 causò la morte di circa 9.000/14.000 persone. Assai meno, certo, dei 150.000 morti di Napoli e dei 60.000/80.000 di Genova degli stessi anni. Tuttavia,  la chiusura delle porte della città, l’allestimento dei lazzaretti, la recinzione di Trastevere, dove si verificò il primo caso di contagio (il "paziente numero 1" di allora...!),  l’interdizione di molti cittadini dalle attività lavorative, il passaggio dei carri pieni di ammalati e il defluire lungo il Tevere dei barconi carichi di cadaveri portati dai monatti dall’Isola Tiberina sino alle fosse di San Paolo (come già a Milano nella peste "manzoniana" del 1630) atterrirono il popolo senza distinzione di ceto sociale. Alcuni medici e sacerdoti diedero testimonianza di grande eroismo, e tra i religiosi diversi morirono, per la prolungata esposizione all’infezione: come accadde agli assistenti spirituali dell’Ospedale Fatebenefratelli, del Santissimo Salvatore ad Sancta Sanctorum, dei lazzaretti al Casaletto e all’Isola Tiberina. Il Vicariato rivolse l’invito alla comunità diocesana di pregare affinché la città fosse liberata dal flagello; il Papa Alessandro VII esortò i fedeli a pregare intensamente nel chiuso delle proprie case, e in molte occasioni i riti religiosi furono vietati per combattere la trasmissione della malattia. Eppure, la pietà restò la più grande risorsa: i fedeli elevarono le loro preghiere dinanzi alla ricordata Santissima Vergine del Portico, a moltissime altre sacre immagini mariane e al Santissimo Crocifisso di San Marcello al Corso. La peste finì un anno dopo, nell’estate del 1657.

  In una tranquilla serata estiva romana ( "in pausa" dal caldo africano), tra monumenti barocchi e classici, il pubblico - con, in prima fila, Mons. Jean-Marie Gervais, Presidente di Tota Pulchra, - si è lasciato piacevolmente trasportare, dal canto di Dominika e dal pianoforte di Stefano, in straordinarie atmosfere musicali dal Settecento al primo Novecento. In apertura, ll "Lascia ch'io pianga", dall'opera di G.F. Handel "Rinaldo"; seguito da "Voi che sapete" e "Venite inginocchiatevi", da "Le nozze di Figaro" , opera lirica del 1785-'86 del "mostro sacro" Mozart, dal libretto di Lorenzo Da Ponte.  

 Sono seguite Sonate di Domenico Cimarosa e composizioni vocali da camera di Vincenzo Bellini (1801-1835,considerato, al pari di Rossini e Donizetti, il compositore per antonomasia dell'era del bel canto italiano); seguite da "Il Sogno e "La Serenata", opere dell'altro compositore, abruzzese, Francesco Paolo Tosti (1846-1916) autore di celebri romanze da salotto o da camera.

I due artisti hanno reso, poi, un doveroso omaggio a Fryderyk Chopin, il "poeta del pianoforte", nel 175mo anniversario della morte (Parigi, 1849). A seguito della repressione russa  della Rivolta nazionale polacca del  novembre 1830 (esplosa nel contesto generale delle rivoluzioni nazionali europee del 1830-'31, idealmente legate alle altre del '20-'21), Chopin all'età di 20 anni si trasferiva a Parigi, nel quadro della cosiddetta "Grande emigrazione" polacca. Durante gli ultimi diciannove anni della sua vita si esibisce pubblicamente solo trenta volte, preferendo l'atmosfera più intima dei salotti privati: muore a soli 39 anni, nel 1849, mentre l'Europa è di nuovo insorta contro l'assolutismo e l'"alleanza fra il trono e l'altare". Gran parte della produzione musicale di Chopin è fortemente legata al sentimento nazionale polacco (non a caso, i nazisti, occupanti della Polonia dal 1939 al 1945, proibirono costantemente l'esecuzione delle "polacche" di Chopin, che accendevano i cuori dei suoi concittadini). Mentre Bigoni ha eseguito al piano due celebri Notturni di di Chopin in do minore (che uscirono postumi), subito dopo lui e Dominika hanno riproposto con passione varie arie minori del "poeta del pianoforte", con testi in polacco, legate più a scene popolari o di vita domestica.  

In chiusura, un ultimo brano di Chopin e due di Ignacy Paderewski (1860-1941, pianista, compositore, poi anche politico e diplomatico polacco: nella Polonia da poco indipendente del 1919, dopo la "Grande guerra", Paderewski sarebbe divenuto Premier e   ministro degli Esteri, rappresentando poi la nazione, finalmente risorta. alla Conferenza di Pace di Parigi). Proprio Paderewski - ha ricordato Stefano Bigoni - molti anni dopo la morte di Chopin, si occupò di riordinare e catalogare tutta l'opera del grande collega.  

In ultimo, Mons. Gervais, ha ricordato l'attenzione di Tota Pulchra per i nuovi talenti musicali e delle altre arti, preannunciando rapidamente le prossime iniziative culturali dell'associazione.

 

di Fabrizio Federici

 

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